Corriere della Sera, 6 giugno 2021
Lottare o cooperare con la Cina?
Né l’Unione Europea, né la Russia, né gli Stati Uniti, e probabilmente neppure l’India e l’Australia sanno come convivere e lavorare con la Cina.
Devono prepararsi a un inevitabile conflitto, soprattutto se hanno con la Repubblica popolare una frontiera terreste o marittima? O devono piuttost0 considerarla uno straordinario partner economico e adattare almeno una parte del proprio sistema industriale alle esigenze e alle consuetudini del suo enorme mercato?
Non sanno che cosa fare perché non lo sa neppure la Cina. Dopo il clamoroso fallimento della rivoluzione culturale di Mao e i risultati positivi, ma non comunisti, della politica riformista di Deng Xiaoping, il partito comunista cinese continua a essere il padrone di casa e a trattare spesso i suoi connazionali con i metodi degli Stati di polizia. Ma non ha né idee né progetti e sembra avere ormai giocato tutte le sue carte.
Non è sorprendente. Uscire dal comunismo non è facile, soprattutto per un Paese che ha, secondo le ultime statistiche, una popolazione di 1 miliardo 389 milioni di abitanti. Lo abbiamo constatato nel caso della Unione Sovietica quando la perestrojka di Gorbaciov fallì e il Paese fu governato per qualche anno da una banda di oligarchi che non pagavano le tasse e si eliminavano a vicenda con una guerra di bande nelle vie di Mosca.
Ma fra Russia e Cina vi è una differenza. La Russia ha sempre avuto un piede in Europa e non è mai stata per noi europei totalmente straniera. Quando dovette ammettere che il credo comunista non si sarebbe mai avverato e che il capitalismo russo era un sanguinoso campo di battaglia, la Russia conosceva i modelli europei e aveva ancora una bussola morale, la Chiesa ortodossa, a cui appellarsi e in cui la sua società poteva trovare rifugio e speranze. Una delle prime decisioni della Russia post-sovietica, per saldare i suoi conti con la Chiesa, fu la santificazione dell’ultimo imperatore, Nicola Romanov II, e della sua intera famiglia, trucidata per ordine di Lenin nella casa di un mercante a Ekaterinburg il 17 luglio 1918.
La Cina ha il buddismo, ma non è una religione e i suoi monaci furono irreggimentati dal partito non appena ebbe nelle sue mani l’intero controllo del Paese. Ha un passato imperiale di cui può andare orgogliosa, ma non è facile, per un regime che continua a proclamarsi comunista, vantare le glorie di un passato aristocratico e feudale, farne oggetto di venerazione popolare. Le rimane una sola via d’uscita: conquistare un largo consenso popolare. È questa la ragione per cui, dopo avere lungamente predicato ai suoi cittadini la continenza, il governo cinese ha ora deciso di invitarli alla fertilità.