il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2021
I costi di cultura e turismo
Nel 1963 lo scrittore inglese Charles Percy Snow pubblicò Le due culture, un saggio fortunato che animò il dibattito sul rapporto tra cultura umanistica e cultura scientifica.
Nel 2013 lo psicologo americano Jerome Kagan pubblicò a sua volta Le tre culture in cui, alle discipline naturali e umanistiche aggiunse quelle sociali. Intanto, a partire dal 1969, si erano andate sviluppando le reti Arpanet e poi Internet che avrebbero dato vita a una quarta cultura: quella digitale.
Gli antropologi, invece, preferiscono parlare di tre culture, intese come bagaglio di conoscenze che ciascuno di noi si porta dentro: la cultura ideale (le idee, i linguaggi, le credenze, gli stereotipi), quella materiale (l’insieme delle materie e dei manufatti che ci circondano) e quella sociale (usi, costumi, leggi, comportamenti solidali e conflittuali).
Quando il nostro Recovery Plan parla di “cultura” intende soprattutto la cultura materiale (teatri, biblioteche, chiese, borghi, parchi, computer, ecc.) e una parte della cultura sociale (turismo, eventi, restauro, occupazione, ecc.).
È interessante appurare con quali criteri il nostro governo ha assegnato i finanziamenti ai singoli comparti culturali ma è altrettanto intrigante paragonare ciò che ha fatto l’Italia con ciò che hanno fatto gli altri Paesi. A soddisfare questa legittima curiosità ha provveduto la Fondazione Civita con un’utile ricerca condotta dallo Studio Valla su Italia, Francia, Portogallo, Spagna e Germania.
Quanto all’Italia, su 191,5 miliardi il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina 6,68 miliardi (cioè il 3,5%) al turismo e alla cultura, considerati come settori siamesi. Gli interventi previsti si articolano in quattro aree. La prima (Patrimonio culturale per la prossima generazione) assegna 1,1 miliardi alla digitalizzazione, all’efficienza energetica di cinema, teatri, archivi e musei nonché alla rimozione delle barriere fisiche e cognitive. La seconda area (Rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale religioso e rurale) assegna 2,72 miliardi all’attrattività dei borghi, alla tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale, all’identità di parchi e giardini storici, alla promozione della sicurezza sismica e del restauro dei luoghi di culto. La terza area (Industria culturale e creativa 4.0) assegna 460 milioni all’approccio verde lungo tutta la filiera culturale e creativa e alla competitività del settore cinematografico attraverso un “Progetto Cinecittà” e un Capacity building con cui accrescere la professionalità degli operatori culturali anche attraverso mezzi digitali. La quarta area (Turismo 4.0) assegna 2,4 miliardi al miglioramento delle capacità competitive delle imprese attraverso la sostenibilità ambientale, l’innovazione e la digitalizzazione dei servizi.
Sono poi previsti una riforma dell’ordinamento delle professioni delle guide turistiche e 500 milioni per il progetto “Caput mundi” relativo ai grandi eventi turistici, alla riqualificazione delle periferie, al restauro di parchi e giardini, alla digitalizzazione dei servizi culturali di Roma.
Dopo l’Italia, in ordine di stanziamenti, viene la Francia, dove il Plan National de Relance et de Résilience, su un complesso di 40,9 miliardi, ha destinato alla cultura 2 miliardi (cioè il 2%) per ammodernare il patrimonio artistico e culturale, rilanciare la creatività giovanile, l’occupazione artistica, la transizione ecologica delle istituzioni artistiche, la digitalizzazione soprattutto degli istituti di istruzione superiore, implementare il programma “Jeunes en librairies” per familiarizzare migliaia di giovani con le librerie, rilanciare il settore cinematografico incoraggiando la distribuzione dei film, le nuove opere, la modernizzazione dei cinema, la ricerca e sviluppo, l’esportazione dei prodotti, l’occupazione e la formazione, la messa in sicurezza delle cattedrali e degli altri monumenti, il recupero del Castello di Villers-Cotterêts per farne un crocevia internazionale di culture valorizzando la lingua francese e il plurilinguismo.
Su 16,6 miliardi previsti dal piano Recuperar Portugal, Costruindo o futuro 243 milioni (cioè l’1,4%) sono destinati al doppio scopo sia di valorizzare la cultura come affermazione dell’identità e della coesione sociale e territoriale, sia di accrescere la competitività economica del Paese attraverso lo sviluppo di attività di natura culturale. Cinema e filiera del libro sono considerati settori strategici. Per raggiungere questi due scopi, 93 milioni sono destinati a migliorare tecnologicamente la rete delle attrezzature culturali pubbliche, per digitalizzare le opere letterarie e le librerie, per internazionalizzare i libri digitali di autori fondamentali per la lingua portoghese. Altri 150 milioni sono destinati a riqualificare e conservare alcuni musei, monumenti, palazzi e teatri dello Stato, a mettere in sicurezza alcune cattedrali, a realizzare il centro e i laboratori del programma “Sabre Fazer”.
In Spagna il Plan de Recuperación, transformación y resiliancia ha destinato alla cultura 825 milioni su 69 miliardi (cioè l’1,2%), agganciandola allo sport, così come l’Italia l’ha agganciata al turismo. 325 milioni vanno a rivalutare l’industria culturale promuovendone la competitività, la dinamicità, la digitalizzazione e la sostenibilità. Viene sviluppato uno Statuto dell’Artista e rafforzato il diritto d’autore. 200 milioni vanno alla creazione di un centro per consolidare la Spagna come piattaforma per gli investimenti audiovisivi nonché come paese esportatore di audiovisivi in tutto il mondo, con una ricaduta positiva sulla creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani. 300 milioni, in fine, sono destinati a ristrutturare e ammodernare il settore sportivo per il quale sono anche previsti un nuovo diritto per le professioni e un nuovo piano sociale.
La Germania, che ha chiesto 27,9 miliardi per il suo Deutscher Aufbau – und Resilienzplan, non destinerà alla cultura neppure un euro di questo fondo perché vi aveva già provveduto con precedenti finanziamenti.
Dunque i Paesi esaminati puntano tutti sulla digitalizzazione e, in ognuno di essi, l’investimento sulla cultura “materiale”, cioè sulle infrastrutture architettoniche, tecniche e digitali, prevale nettamente sull’attenzione alla cultura “sociale” e soprattutto “ideale”. Solo Italia e Francia hanno descritto minuziosamente i singoli progetti, i relativi investimenti e le tempistiche di attuazione. I fondi, una volta ottenuti, saranno impiegati tutti e bene? Lo sapremo solo nel 2026. Per ora, però, guardando a ritroso, sappiamo come sono stati usati i fondi europei del ciclo 2014-20 assegnati per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale riducendo il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo dal punto di vista dello sviluppo. La spesa finora certificata dimostra che la Francia è riuscita a spendere il 66% delle risorse assegnate; la Germania e il Portogallo sono riusciti a spenderne il 62% ciascuno; l’Italia ne ha speso il 52% e la Spagna il 42%. Ciò significa due cose: che il divario tra Francia, Portogallo e Germania da una parte, Italia e Spagna dall’altra, anziché attenuarsi, è aumentato; e che i soldi, da soli, non bastano: occorrono pure l’intelligenza e l’organizzazione per saperli spendere.
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