Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 05 Sabato calendario

Intervista a Macoto Tezuka, figlio del Dio dei manga


Macoto Tezka (per qualche motivo a lui solo noto vuole che si scriva così, anche se non sarebbe corretto secondo i canoni di traslitterazione dal giapponese) è il figlio di Osamu Tezuka, il più grande autore del Sol Levante, tanto da essere chiamato “Manga no Kamisama”, “Il Dio dei manga”, che in soli sessant’anni di vita ha prodotto 700 opere per più di 150.000 pagine in oltre 400 volumi pubblicati dalla casa editrice Kodansha. Di Tezuka è anche impressionante la varietà del lavoro. Non esiste praticamente genere in cui non si sia cimentato, dalla fantascienza del suo personaggio più famoso, Astro Boy, alla fiaba ( La principessa Zaffiro, Kimba, il leone bianco), dalla religione ( Budda), alla medicina a sfondo noir ( Black Jack) fino ai capolavori assoluti: La storia dei tre Adolf sulla Seconda guerra mondiale e La fenice, una storia dell’umanità a cui lavorerà per tutta la vita (sono ben 16 volumi).
Tutte questi titoli e altri ancora vengono oggi ripubblicati in Italia da J-Pop. Esistono però manga meno conosciuti ma interessanti come le trasposizioni letterarie ( Delitto e castigo, Neo Faust) e biografie musicali ( Ludwig B) o che raccontano il Giappone del cambiamento, dal mondo dei samurai a quello moderno che vede i mercanti come protagonisti, come rappresentato in un altro monumentale capolavoro poco noto al pubblico occidentale, Hidamari no ki, in italiano tradotto liberamente come Il bisturi e la spada (il riferimento è al famoso saggio sul Giappone di Ruth Benedict, Il crisantemo e la spada). Infine ci sono manga che raccontano il Giappone contemporaneo a Tezuka, in particolare quello degli anni Settanta. Sono opere visionarie e crudeli, come La cronaca degli insetti umani, I.L. – La ragazza dai mille volti, Ayako, MW e, soprattutto, Barbara.
Un manga che ha affascinato il figlio di Osama, Macoto Tezka appunto, che ne ha tratto un film. Partiamo da qui.
Quali sono state le difficoltà nel trasporre il manga di suo padre in un film con protagonisti reali?
«È un’opera che conoscevo molto bene, per cui le difficoltà che ho avuto non riguardavano il contenuto o la messa in scena, quanto piuttosto il fatto che fosse un soggetto difficile, da far digerire all’industria cinematografica giapponese, ragion per cui molte case di produzione me l’hanno rifiutato».
Il film segue fedelmente la trama del libro o ci sono delle diversità?
«La narrazione è, nel suo complesso, fedele all’originale, ma avendo dovuto accorciare la vicenda ho apportato alcuni cambiamenti nelle impostazioni iniziali, soprattutto di regia e storytelling».
"Barbara” ha una trama molto fitta: ha dovuto tagliare qualche parte?
«L’opera originale ha la struttura di una serie, per farne un film sono stato costretto a omettere, controvoglia, numerosi episodi. Ho voluto però conservare tutte le immagini “forti” proprie dell’originale».
Suo padre nel realizzare questo manga è stato influenzato dal genere gekiga?
«Più che al movimento “gekiga”, ritengo abbia preso a riferimento alcune opere di specifici mangaka, come per esempio F?ten di Shinji Nagashima (l’autore che è stato anche assistente di Tezuka in realtà si è in seguito avvicinato proprio al movimento gekiga, che faceva riferimento a un crudo realismo e a un pubblico adulto; F?ten “Vagabondo”, del 1967, racconta il suo distaccamento dalla società giapponese che stava sperimentando grandi cambiamenti, ndr)».
"Barbara” è un lavoro molto sperimentale che nasconde numerosi risvolti sociali: come venne accolto ai tempi dell’uscita?
Creò scandalo?
«Sfortunatamente, tra le varie opere di Tezuka Osamu dell’epoca, questa non venne particolarmente apprezzata, non richiamò attenzione e non causò particolari scandali.
Forse era fin troppo originale, tanto da risultare incomprensibile per molti lettori. Solo successivamente diversi artisti e persone del mondo teatrale dichiararono di essere stati influenzati da questo titolo».
Infatti si parla anche di temi come stregoneria e demoni ma in stile occidentale: suo padre era interessato a questi argomenti?
«Mio padre si interessava di qualsiasi cosa. L’occultismo compare in
Barbara perché era di moda negli anni Settanta. Come probabilmente saprete, L’esorcista ottenne molta popolarità anche in Giappone».
Un altro dei riferimenti è ai meccanismi devastanti dello show business: si ritrova anche lei nella descrizione che ne viene fatta?
«Il mondo dello spettacolo e dell’arte trattano di cose che nella realtà non esistono. Per questo capita che le persone che lavorano in tali ambienti siano afflitti da instabilità, che li spinge a cercare rifugio nel mondo dei sogni. Questo finisce per farli precipitare in una sorta di decadentismo. È come se fosse il prezzo da pagare per poter sognare».
Sembra anche un’opera molto pessimista sul lavoro dell’artista: rappresentava un periodo di difficoltà artistica per suo padre?
«Anche tenendo conto del suo “decadentismo”, non penso che il protagonista sia pessimista. È un percorso di vita e come tale fatto anche delle sue angosce. Ritengo che Osamu Tezuka, al contrario, fosse all’apice della propria verve creativa quando scrisse quest’opera».
Che rapporto aveva con lui?
«Non era il rapporto tradizionale tra un genitore e il proprio figlio, tra noi c’era anche un rapporto di amicizia.
Certo, non avevamo molto tempo per parlare ma nelle poche occasioni che avevamo discutevamo spesso dei nostri film preferiti, oppure andavamo al cinema insieme. Il ricordo più bello risale al viaggio che facemmo a Hollywood. Era il 1977 e andammo a vedere Guerre stellari e
Incontri ravvicinati del terzo tipo».
Qual è il suo personaggio preferito, tra quelli da lui creati?
«Tutte le opere e i personaggi sono come una famiglia, non sono in grado di dire chi sia il migliore di loro».
E qual era invece quello di suo padre, secondo lei?
«Mio padre diceva spesso che Astro Boy era poco riuscito, ma poi è stato quello che ha disegnato più a lungo...
non faceva altro che disegnare Astro Boy. Non so cosa passasse veramente nell’animo di mio padre e non ho idea di quali manga gli piacessero».
È vero che aveva quattro editor che lo aspettavano per la consegna delle tavole e che lui a volte fuggiva?
«Certo che è vero. Scappava dalla finestra del bagno nel cortile posteriore per andare a concerti e al cinema. Aveva bisogno di distrarsi per poter creare».
Qual è la cosa più importante che ha imparato da suo padre?
«Il fatto di lavorare duro, con dedizione, per le cose che uno ama».
In Italia è uscito “Il bisturi e la spada”, l’opera monumentale che racconta il periodo in cui il Giappone è costretto ad aprirsi all’Occidente. I protagonisti, un medico (Tezuka Ryoan) e un samurai ( Hattori Hanzo, citato anche da Tarantino in “Kill Bill"), sono vostri antenati ?
«Ryoan Tezuka è il mio trisavolo.
Invece non so molto di Hattori Hanzo. Potrebbe avere qualcosa a che fare con la famiglia di mia nonna dato che il suo cognome di famiglia era “Hattori”. Purtroppo non ho mai incontrato Tarantino».
Lei cosa ne pensa del Giappone contemporaneo?
«Trovo deplorevole che molti giapponesi abbiano perso senso estetico e interesse nell’apprendere.
Si sta abbandonando la cultura per dare priorità all’economia».
Immagina cos’avrebbe pensato suo padre se fosse ancora vivo?
«Osamu Tezuka, come tutti i geni, ha sempre disegnato il modo di vivere e di pensare di esseri umani universali.
I problemi che attraversano la società moderna attanagliano l’umanità, sin dai tempi antichi: le sue risposte restano valide ancora oggi».aa