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 2021  giugno 05 Sabato calendario

Marta Dillon, storia di una femminista


«Dobbiamo attraversare le frontiere, pensare insieme in modo differente, sottrarre i nostri corpi agli ingranaggi del capitalismo e del patriarcato. Il femminismo è un virus che spinge alla ribellione e innesca un contagio positivo». Era il 3 giugno 2015 quando Marta Dillon, giornalista argentina, attivista lesbica e femminista, sperimentò la forza dirompente del contagio di cui ora parla quasi scusandosi per utilizzare una metafora logorata dalla pandemia. Tra le promotrici del movimento NiUnaMenos, dopo l’omicidio di una quattordicenne di Santa Fe incinta di due mesi, massacrata di botte dal fidanzato e poi seppellita in giardino, organizzò le manifestazioni di piazza che attraversarono l’Argentina per ripudiare la violenza e la cultura machista. Dalle colonne di Las12, supplemento da lei diretto del quotidiano Pagina/ 12, invitò i lettori a scendere in piazza citando i versi di Susana Chávez – «ni una mujer menos, ni una muerta más» – la poetessa messicana che aveva denunciato le uccisioni sistematiche di donne a Ciudad Juárez quando ancora i media non ne parlavano ed era finita lei stessa violentata e uccisa, abbandonata sul ciglio di una strada con una mano mozzata e la testa in una borsa nera.
Grazie al suo impegno e a quello delle altre promotrici di NiUna Menos, i versi della Chàvez si trasformarono in una bandiera che attraversò le frontiere contagiando le donne non solo dell’America latina, ma presto anche degli Stati Uniti, dell’Europa fino all’Australia.
«Fu un’emozione incredibile. Era importante non sentirsi sole: vedere quella manifestazione diventare un movimento globale mi ha reso felice», dice Dillon alla vigilia di We Woman, prima giornata del festival Welcome to Socotra, organizzato dalla Fondazione Feltrinelli a Milano lungo due mesi d’estate per immaginare attraverso musica, danza, teatro e arti visive un mondo diverso, più inclusivo, giusto e libero. L’ 11 giugno Dillon parlerà della necessità di unire la lotta femminista ad altre forme di ribellione contro l’oppressione: antirazzismo, battaglie sindacali e di libertà. E lo farà, come nei suoi libri e nei suoi articoli, dissotterrando le parole dal fondo dell’esperienza personale.
«La mia resistenza è cominciata a nove anni quando mia madre scomparve». Il 28 ottobre 1976 Marta Angélica Taboada, avvocata e militante, venne portata via dalla sua casa di Moreno, provincia di Buenos Aires. Desaparecida come migliaia di oppositori della giunta Videla. Solo nel 2010, quando ricevette una telefonata dell’Équipe Argentina di Antropologia Forense, Dillon scoprì che fine aveva fatto. Il ritrovamento delle ossa in una fossa comune, le risposte che riuscì a darsi dopo anni di silenzio, sono all’origine della biografia, anche politica, Aparecida, uscita in Italia poche settimane fa per l’editore Gran Via.
«Il mio impegno per i diritti umani è figlio della mia storia – spiega – Con il ritorno della democrazia fui tra i fondatori dell’associazione Hijos, Figli per l’Identità e la Giustizia contro l’Oblio ed il Silenzio. Cercavamo la verità ma anche una giustizia alternativa, organizzando manifestazioni di fronte alle case dei torturatori perché la gente sapesse chi erano i loro vicini, perché ci fosse una condanna sociale».
Con gli anni Dillon dovette fronteggiare più di un pregiudizio: lesbica e sieropositiva, si sentiva addosso lo sguardo accusatorio di chi giudicava la sua sessualità e la stigmatizzava perché voleva avere, nonostante l’Hiv, un secondo figlio. «Ero una giornalista, per me fu naturale approfondire, iniziai ad affrontare i problemi delle donne da una prospettiva di genere». Coinvolta nella lotta per i diritti delle persone omosessuali e queer, ha fatto parte del gruppo di intellettuali che hanno dato il via al movimento transfemminista: «Pensiamo che i ruoli di genere siano una costruzione sociale utilizzata come strumento di oppressione. Vogliamo che ogni corpo venga riconosciuto e rispettato, corpi di donne, trans, gay, lesbiche…». Al telefono è un fiume in piena: parla dell’aborto, divenuto legale in Argentina solo alla fine del 2020, e delle morti per le interruzioni di gravidanza clandestine: «Sono femminicidi di stato» Sa che nonostante le questioni di genere siano entrate nell’agenda politica di molti partiti, negli ultimi anni c’è stato un crescendo di aggressioni nei confronti di quelli che chiama” corpi disobbedienti”. «Il femminismo è un movimento di liberazione che riconosce l’oppressione di genere e quindi riconosce tutte le altre oppressioni, anche di razza e di classe sociale».
A Milano parlerà della necessità di una lotta globale e aiuterà il pubblico di Welcome to Socotra, come dice il direttore della Fondazione Feltrinelli Massimiliano Tarantino, «a sognare e progettare un mondo diverso».