Robinson, 5 giugno 2021
Le siciliana di Sciacca
«La Sicilia è femmina. Da qualsiasi angolatura la si guardi», scrive Giusy Sciacca nell’introduzione a Virità. Femminile singolare- plurale, antologia di donne siciliane che meritano di essere ricordate e raccontate: dee e sante, regnanti e nobildonne, eretiche e peccatrici, innovatrici e rivoluzionarie, artiste, letterate e donne di scienza. L’elenco è ricco di vite che nutrono nel profondo la storia isolana, dalla “medichessa” Virdimura specializzata in ginecologia e ostetricia che alla fine del Trecento, nella Giudecca di Catania, unica donna in un mondo di uomini, esercitava la professione fino a Laura Lanza di Trabia, la baronessa di Carini, vittima di un femminicidio del Cinquecento perché adultera e disonorante, cancellata perfino dall’albero genealogico di famiglia. Dalla leggendaria Cleopatra di Sicilia, soprannome di una misteriosa donna araba che osò sfidare Federico II fino all’esorcista Delia Digno, guaritrice e strega di Nicosia che si mise in competizione nientemeno che con la Chiesa cattolica. E ancora: la diva Anna Maria Scarlatti, artista eccentrica e vitale appartenente a una famiglia di artisti palermitani, Maria Paternò, la prima donna siciliana a ottenere il divorzio, Mariannina Coffa, poetessa romantica e sensuale. Sono tante le donne che Giusy Sciacca passa in rassegna, scegliendo per la sua raccolta un metodo che mescola divulgazione e letteratura: ognuna di loro viene prima descritta con una scheda introduttiva e poi interpretata in un racconto, cosicché i lettori prima vengono informati con una lingua schietta ed essenziale e poi intrattenuti con uno stile poetico che può lasciarsi andare a coerenti libertà interpretative.
Questo piccolo libro pubblicato da Kalòs, casa editrice isolana che dall’arte si sta allargando alla narrativa, si rivela prezioso sia per quest’alternanza che da un lato agevola la lettura e dall’altro la rende piena e intensa, sia perché il suo scopo è togliere un po’ di polvere da certe demonizzazioni. Le donne scelte da Giusy Sciacca sono libere, non convenzionali, non organiche, perciò sono state spesso descritte come lascive e maliarde, diaboliche e pericolose: un gioco utile a cancellarle e a tramandarne le vite in termini di paura e ridicolizzazione. Grazie all’uso di un personale timbro letterario, di quelle donne Sciacca ci mostra invece l’inattesa umanità, quella “virità” che nessuno ha potuto cancellare. L’esperimento riesce per ogni ritratto, grazie alla capacità dell’autrice di alternare i registri: la lingua si fa arcaica, barocca, intima, regale, a seconda delle epoche e dei contesti, oltre che delle protagoniste. La voce di Sciacca è polifonica, ne consegue che anche le storie non sono orientate a un solo modello di femminilità, la “virità” delle donne è cangiante, prismatica, e allo stesso tempo ferrea, inevitabile. Chi non vuole vederla è in malafede, sottintende il lavoro di ricerca alla base di questo libro.
Se tante sono le donne che rendono ricca la magia della Sicilia, altrettante sono le scrittrici che le appartengono e hanno saputo immaginarla: Sciacca riconosce con gratitudine i suoi debiti, cita l’importante dizionario delle siciliane curato da Marinella Fiume, la letteratura militante di Maria Rosa Cutrufelli, quella sanguigna di Silvana Grasso, quella luminosa di Annamaria Piccione.
Sotterranea, la traccia matrilineare potrebbe allungarsi ancora a dismisura: penso alle donne irregolari dei racconti di Maria Attanasio o alle disobbedienti di Ester Rizzo. Questo libro è senz’altro un bell’esempio di sorellanza, svela come una regione non possa essere raccontata da una persona sola ma da un mosaico di sguardi, e come quegli sguardi, se sono femminili, non possano che parlarsi tra loro, seguendo insieme il filo rosso dei simboli: dalla triscele, ovvero l’antica raffigurazione dell’isola, fino alle storie di ninfe e di dee, di principesse e creature mostruose, passando per la nomenclatura, il gesto da cui si snoda il senso che diamo ai luoghi. Sicania, Siculia, Trinakie, Triquera, Vitulia: Giusy Sciacca ci avverte inequivocabilmente che «il nome dell’isola del Sole è stato sempre, senza eccezioni, femminile».