Corriere della Sera, 5 giugno 2021
A hong Kong vieta ricordare Tienammen. La polizia chiude il Victoria Park, i cittadini accendono candele
Per 32 anni il 4 giugno ha ricordato al mondo e al Partito comunista l’eccezionalità di Hong Kong rispetto a Pechino e ad altre centinaia di città della Cina, tutte uguali. Nella capitale della Repubblica popolare cinese, la polizia già settimane prima dell’anniversario di Tienanmen rastrellava «i soliti sospetti», coloro che avrebbero potuto cercare di tenere viva la memoria dei martiri schiacciati dalla repressione del 1989 per aver osato chiedere giustizia sociale (prima ancora che la democrazia). Nell’ex colonia britannica decine di migliaia di persone erano libere di riunirsi nella notte a Victoria Park, per ricordare i caduti.
Dall’anno scorso radunarsi per accendere candele dopo il tramonto del 4 giugno è vietato anche a Hong Kong. Motivi di prevenzione sanitaria ai tempi del coronavirus, hanno detto le autorità. Ma naturalmente nessuno ci crede. Nel 2020 comunque alcune migliaia di hongkonghesi si erano dati appuntamento nel grande spazio di Victoria Park, luogo tradizionale di concentramento delle manifestazioni. I dimostranti indossarono le mascherine sanitarie e rispettarono per quanto possibile il distanziamento, non ci furono incidenti e gli agenti osservarono senza intervenire. Ma poi arrestarono alcuni esponenti del comitato organizzatore: tra loro Joshua Wong, che ha ricevuto una condanna a 10 mesi per aver «deliberatamente e premeditatamente» violato il divieto.
È il virus della democrazia che Pechino ha voluto sempre debellare a Hong Kong. Per questo, l’1 luglio del 2020 è stata imposta la legge di sicurezza nazionale cinese anche nel territorio ad amministrazione speciale, che la Cina si era impegnata a governare fino al 2047 in base all’accordo «Un Paese due sistemi».
Commemorare Tienanmen ora sarebbe reato anche a Hong Kong, perché il Partito-Stato considera sempre «sovversivi» i ragazzi massacrati nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989. Però, ipocritamente, la polizia ha negato il permesso di riunione anche quest’anno per motivi sanitari.
Ieri il Victoria Park è stato chiuso e presidiato da cordoni di poliziotti; altoparlanti hanno ammonito la gente a non avvicinarsi; nella City sono stati mobilitati 7 mila agenti per vigilare. Nonostante le minacce di arresto, nella notte gruppi di cittadini coraggiosi hanno acceso candele e le luci dei telefonini nelle strade della City. Anche il Consolato americano ha esposto lumini alle finestre. E il vecchio cardinale cattolico Joseph Zen ha celebrato una messa in suffragio dei caduti di Tienanmen, dicendo nell’omelia: «Chiedevano solo un governo pulito, ma hanno dovuto lasciare il mondo con il marchio di rivoltosi».
Per precauzione, ieri mattina la polizia aveva arrestato Chow Hang-tung, vicepresidentessa dell’Alleanza democratica che organizzava la veglia. Chow, 37 anni, avvocata, aveva annunciato la determinazione di accendere una candela in strada alle 8 di sera. L’hanno ammanettata per dare un esempio. Altri arresti nella notte.
Gli hongkonghesi che hanno illuminato i loro smartphone dimostrano che c’è ancora una differenza tra la loro città e Pechino. Nella capitale della Cina da decenni non c’è più bisogno di vietare alcuna manifestazione: la strategia dell’«amnesia collettiva» ha offuscato la memoria, la censura ha rimosso ogni riferimento a Tienanmen e al 4 giugno 1989, il Partito-Stato in cambio della rinuncia alla memoria ha garantito alla gente la corsa incessante dell’economia. E comunque qualunque pechinese sa che riunirsi in pubblico (o anche in privato) porterebbe in carcere. A Hong Kong, invece, le lucine nella notte sono ancora lampi di libertà.
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