Corriere della Sera, 5 giugno 2021
Diario dell’imprenditore veneziano Marco Zennaro rinchiuso in Sudan
Quell’europeo sgomento, che non parla arabo e cui nessuno risponde in inglese, ha impietosito anche i detenuti del carcere di Khartoum. È lo stesso Marco Zennaro, l’imprenditore veneziano di 46 anni, bloccato in Sudan da due mesi e mezzo con accuse di frodi commerciali, a raccontare come i suoi compagni di cella abbiano cercato di rincuorarlo appena arrivato: «Ci è sembrato di vedere un uomo morto» pare gli abbiano detto, a conclusione di una delle giornate peggiori nelle sue ultime undici settimane.
Quando è riuscito a parlare con la famiglia, Zennaro ha descritto la lunga attesa nella camera di sicurezza del tribunale dove si discuteva la richiesta di arresti domiciliari, dopo 62 giorni sul pavimento della cella di un commissariato; poi il rigetto dell’istanza, il trasferimento in prigione in attesa dell’udienza fissata per giovedì prossimo. Sa certamente che, fuori di lì, l’ambasciatore Gianluigi Vassallo, l’avvocato locale, Ayman Khaled, il ministero degli Esteri a Roma, suo padre, Cristiano, e suo fratello Alvise si stanno dannando per riportarlo in Italia, ma è sfiduciato: «Sono ostaggio di un sistema senza regole. Vi prego riportatemi a casa, dalla mia famiglia».
Dopo la missione del direttore generale per gli italiani all’estero della Farnesina, Luigi Vignali, che ha incontrato ministri e vice presidente, la logistica è migliorata, assicura una nota ministeriale: «Marco Zennaro è stato trasferito in una struttura detentiva più organizzata, dove dispone di una brandina in un’area comune non sovraffollata e ha accesso a servizi e spazi esterni; può inoltre utilizzare il proprio telefono cellulare per comunicare con la famiglia e ricevere visite da parte dei familiari e del personale dell’Ambasciata in orari predefiniti».
All’aeroporto
Accompagnato dal nostro ambasciatore, sta per imbarcarsi ma poi arrivano i miliziani
Ma il resoconto dell’imprenditore è drammatico: «Sono rimasto 8 ore nel carcere del palazzo della corte dove non sapevo nemmeno di dover andare. Uno stanzino sottoterra al buio. Senz’acqua né gabinetto né modo di comunicare con l’esterno. Mi era stato detto che era per portarmi in albergo. Ma la corte ha deciso il contrario: carcere. Mi viene detto di salire su una camionetta di latta in 40 persone per un viaggio di 1 ora e mezzo nel traffico di Khartoum. Tutti ammassati. Un forno a 50 gradi. Arrivo in carcere, ho paura. Non so cosa mi aspetta. Nessuno sa nulla, non ho telefono e nessuno parla inglese. Mi hanno fatto attraversare il settore degli omicidi, spacciatori e criminali: un inferno di 700-800 corpi ammassati uno a ridosso dell’altro. Alla fine mi mettono nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria. Ci saranno 200 persone. Mi hanno preso in cura tutti i miei nuovi compagni perché hanno detto di aver visto un morto».
La vice ministra degli Esteri, Marina Sereni «ha sottolineato al suo omologo sudanese l’attenzione con cui l’Italia segue questa vicenda», ricorda la Farnesina. E la missione di Vignali «ha inoltre consentito di prendere contatto con le controparti private sudanesi per fare il punto sul negoziato per una soluzione stragiudiziale della controversia commerciale che è alla base della vicenda giudiziaria».
Pensavano fossi un morto
Dopo l’incubo e la disperazione si sono presi cura di me i miei nuovi compagni: vedendomi rannicchiato a terra, pensavano fossi un morto
La Zennarotrafo, azienda di materiale elettrico fondata dal nonno dell’imprenditore, è in affari con i paesi africani e con il Medio Oriente da 25 anni e il Sudan è un mercato immenso: i black-out sono abituali e in molti villaggi manca ancora l’illuminazione. La prima denuncia per frode era stata formalizzata in marzo dal distributore locale di Zennaro, la ditta Al Gallabi, con la quale si era aggiudicato un bando di concorso nel 2020 per una grossa fornitura di trasformatori, contestati alla consegna. A certificarne la non conformità al contratto (del valore di oltre un milione di euro) non erano stati tecnici indipendenti – sostiene la difesa dell’imprenditore – ma il laboratorio di un’altra azienda del settore in Sudan. Comunque sia, Zennaro era partito per il Sudan deciso a difendere la sua merce.
Dopo tesi negoziati nell’hotel dove l’imprenditore si era ritrovato agli arresti domiciliari, Al Gallabi aveva ritirato la denuncia in cambio di un rimborso di 400 mila euro. Il primo aprile, accompagnato dall’ambasciatore, Zennaro era all’imbarco del volo di ritorno, quando era stato di nuovo arrestato. La scorsa settimana una prima decisione del procuratore generale di rilasciarlo è stata subito annullata perché a suo carico si erano nel frattempo accumulate le denunce di vari finanziatori privati di Al Gallabi, tra i quali la società elettrica sudanese, che rivendicano la loro parte, all’incirca altri 800 mila euro. E per il 27 giugno è prevista una nuova causa in tribunale.