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 2021  giugno 05 Sabato calendario

Intervista a Thomas Piketty (che vuole ridistribuire la richezza)


Avvertenza per l’uso: se vi è andata di traverso la proposta di Enrico Letta di tassare i grandi patrimoni per offrire una dote di 10 mila euro a tutti i giovani italiani, saltate a piè pari questa intervista.Thomas Piketty, economista francese di fama internazionale autore di un paio di densi libroni – l’ultimo, Capitalismo e ideologia, pubblicato in Italia dalla Nave di Teseo – tanto celebrati quanto contestati, sa della recente proposta del segretario del Pd e non dissente certo, ma la trova «troppo prudente».Oggi a Trento per il Festival dell’Economia, Piketty ha intitolato la sua conferenza “Socialismo partecipativo contro Socialismo di Stato”. Ci tiene a precisare che al di là della parola con la S che tanta paura mette negli Stati Uniti, la sua proposta guarda più alle sagge socialdemocrazie di stampo europeo, Svezia in testa, con un potente Stato sociale, tassazione sui redditi fortemente progressiva, partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende come nel modello tedesco. Detto questo le sue proposte sono decisamente radicali, con una tassazione sui redditi che – teorizza – dovrebbe raggiungere il 90% per chi ha un reddito superiore a 10 mila volte il reddito medio (in Italia vorrebbe dire chi dichiara più di 200 milioni) e una patrimoniale permanente di pari entità il cui compito dovrebbe essere quello di rendere “temporanea” la proprietà, distribuendo attraverso il sistema fiscale una «eredità per tutti» di 120 mila euro a testa per ogni cittadino.Lei ha pubblicato “Capitale e ideologia” nel 2019. Che cosa è cambiato con la pandemia?«La pandemia, al di là dei suoi effetti terribili su tutto il mondo, ha mostrato la fragilità del nostro modello economico e sociale. Tutti hanno capito che abbiamo bisogno di servizi pubblici, come quelli sanitari, forti e che ci sono problemi più importanti che rispettare il rapporto tra debito e Pil e le regole di bilancio. La crisi del 2008, e adesso questa, segnano l’uscita da una certa forma di ipercapitalismo e neoliberlismo estremamente ottimista sulla capacità dei mercati di regolare tutti i problemi».Le diseguaglianze economiche sono il focus dei suoi studi. Abbiamo già le prove di un loro aumento a causa della pandemia, o è troppo presto per capirlo?«È un po’ presto, ma già ora constatiamo che i redditi più bassi e le situazioni più precarie sul mercato del lavoro hanno perso di più delle persone che avevano situazioni più stabili, lavori impiegatizi che gli hanno consentito di lavorare anche da casa, mentre a livello di patrimoni è stato facile vedere che i miliardari del pianeta, in settori come quello dell’hi-tech, sono ancora più ricchi.Tutto questo porta a un dibattito che si sta evolvendo rapidamente sul come distribuire questa ricchezza».Un dibattito provocato dalla crisi del Covid?«No, accelerato dal Covid. Ma il dibattito stava prendendo quota anche prima della pandemia. In particolare sono rimasto colpito dalla campagna per le presidenziali americane del 2020 rispetto a quella del 2016. Quando al primo giro avevo parlato alla senatrice democratica Elizabeth Warren della necessità di introdurre una tassa annua dal 5 al 10% sui patrimoni dei miliardari lei era molto scettica. Quattro anni dopo Warren e Bernie Sanders erano in gara per sapere chi avrebbe proposto la tassa sulla ricchezza più alta. Lo stesso è accaduto in Germania con la Spd, dove nel 2014-2015 Sigmar Gabriel non voleva reintrodurre una tassa sulla ricchezza mentre adesso Olaf Scholz e i Verdi tedeschi pensano proprio a questo. E anche Enrico Letta, di recente, ha avanzato una proposta per aumentare l’imposta di successione e dare un capitale di partenza a tutti i giovani».Proposta che ovviamente lei approva...«Io farei di più: l’imposta di successione va aumentata, ma serve anche un’imposta annuale sulle grandi fortune. Se vogliamo davvero redistribuire, prima di creare “l’eredità per tutti”, che io difendo, serve un sistema di garanzie come il salario minimo per i lavoratori o il reddito di base. E bisogna stare attenti che questa “eredità per tutti” non sia un modo per abolire altre forme di Stato sociale, dalla sanità pubblica all’istruzione statale. C’è sempre il rischio che qualche liberale veda l’occasione per fare dei saldi: “Prendi i tuoi diecimila euro e smettila di scocciarci”».Ma la proposta di Letta non è stata ben accolta in Italia. Anche il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto che non è il momento di parlare di nuove tasse.«Apprezzo molto Draghi, ma non penso che ritenga di poter finanziare tutto attraverso il debito.Dipende da quale orizzonte si è dato. Se pensa di stare là ancora un anno allora la sua risposta è comprensibile. Ma a me interessa invece l’orizzonte di cinque o dieci anni in cui questi problemi si porranno inevitabilmente».Oggi però l’Europa sembra in grado di uscire dalla crisi.«Si crede di poter uscire dalla crisi unicamente attraverso la Banca centrale europea che presta i soldi agli Stati a tasso zero. Ma questa situazione, che a prima vista pare funzionare, è in realtà molto fragile».Perché i tassi dovrannonecessariamente salire di fronte a una ripartenza dell’economia?«Non solo. Anche mentre i tassi restano a zero risolvono un problema di debito pubblico, ma ne creano uno di diseguaglianza dei patrimoni. Per i piccoli risparmiatori i tassi a zero non sono necessariamente una buona cosa, mentre per chi ha patrimoni ben più grandi e può investire sui mercati finanziari o su quelli immobiliari i tassi a zero possono essere un ottimo affare. Penso che sarebbe necessaria una nuova forma di politica monetaria in cui si danno i soldi direttamente alle persone normali e non alle banche e a chi può prendere prestiti. E poi un giorno bisognerà di sicuro avere il contributo dei più ricchi».La tassa, temutissima da molti, che in Italia si chiama patrimoniale...«Guardi, tutte le grandi crisi di debito pubblico si sono risolte anche in questo modo. Ad esempio in Germania, dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1952, fu istituito un prelievo eccezionale sui patrimoni privati più alti che poteva arrivare fino al 50% e questo consentì di ridurre il debito pubblico tedesco in modo accelerato e di finanziare la ricostruzione del dopoguerra».