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 2021  giugno 05 Sabato calendario

Se Mosca guarda al Sahel

A sorpresa, giovedì sera la Francia ha annunciato la sospensione della cooperazione militare con il Mali. Davanti al “golpe nel golpe”, Emmanuel Macron ha piazzato una doppia linea rossa: transizione democratica e rifiuto di scendere a patti con i gruppi jihadisti. «L’Islam radicale in Mali con i nostri soldati sul posto? Mai e poi mai», è sbottato il leader francese, anche in vista di possibili accordi tra la giunta di Bamako e alcune formazioni islamiste contro le quali la Francia combatte da otto anni. Anche se la minaccia di un ritiro francese è ancora soltanto teorica, la guerra del Sahel, con già una cinquantina di caduti nell’esercito francese e un sostegno in patria che diminuisce, potrebbe complicare la campagna per le presidenziali dell’anno prossimo.
Ma a ridurre l’influenza di Parigi nella regione potrebbe essere la Russia, che con il nuovo colpo di Stato in Mali cercherà di trarre vantaggi economici e politici. Il 28 maggio alcune centinaia di dimostranti si sono radunati di fronte all’ambasciata russa a Bamako, invocando l’intervento di Mosca e la cacciata dei militari francesi. Manifestazioni dietro cui Macron vede la lunga mano del Cremlino. La Russia è inoltre il Paese che ha contribuito ad addestrare diversi membri della giunta golpista, a cominciare dal colonnello Assimi Goita che lunedì sarà nominato presidente. Secondo il Capo di Stato maggiore François Lecointre, a capo dei cinquemila soldati francesi nel Sahel, «se Parigi se ne andasse, Mosca potrebbe riempire il vuoto».
Le mire russe sul continente non sono un mistero. E nella regione per la Francia gli interessi economici sono limitati. Il petrolio del Ciad è sfruttato da cinesi e americani. In Mali non c’è petrolio, nessuno sbocco commerciale in uno dei Paesi più poveri al mondo, le miniere d’oro sono sfruttate dai canadesi. E l’attività di estrazione dell’uranio del nord del Niger, componente essenziale per le centrali nucleari francesi, è sempre più complicata, tanto che Parigi ormai si alimenta più dal Kazakistan. Non solo: ad aprile, con l’uccisione di Idriss Deby, la Francia ha perso uno dei migliori alleati nella regione. Il presidente ciadiano, ora sostituito dal figlio, sarebbe stato assassinato dai ribelli del Fronte per l’alternanza e la concordia del Ciad (Fact) addestrati dal generale libico Khalifa Haftar, con l’appoggio dei mercenari russi di Wagner, vicini al Cremlino. Se per anni Parigi ha appoggiato Haftar, le relazioni si sono raffreddate anche alla luce del patto di ferro tra il generale della Cirenaica e Mosca. «Il loro sistema di disinformazione è fatto molto bene», osserva l’inquilino dell’Eliseo.
In teoria, gli obiettivi russi e francesi sono simili: entrambi i Paesi dichiarano il loro sostegno alle autorità locali, alla lotta al terrorismo e alla cooperazione allo sviluppo, tuttavia l’offerta russa è un’alternativa sempre più allettante per i governi africani perché Mosca è più focalizzata sulla stabilità e sull’unità del potere che sulla riconciliazione interetnica, mentre l’approccio francese incoraggia la democratizzazione, le elezioni regolari e il consenso. Inoltre, a differenza della Russia, per via del suo passato coloniale Parigi è vista spesso come una potenza oppressiva soprattutto dalle popolazioni del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Centrafricana.
Anche in Libia il ruolo militare dei russi è molto forte. A Sirte dispongono di un aeroporto militare e di loro basi logistiche, mentre le truppe del generale Haftar possono ancora contare sull’appoggio dei contractor della Wagner, che non si sono mossi da lì nonostante il cessate il fuoco. Ora, a monitorare la tregua dovrebbe essere una polizia composta da uomini fedeli sia al governo di Tripoli sia a quello di Bengasi. Ma il progetto di questa forza mista non decolla per via delle forti resistenze di Mosca, che una volta consolidata la pace teme di perdere ogni controllo nel Paese nordafricano a scapito dell’Ue, che cerca di riconquistare il terreno perduto.
Ma Bruxelles deve guardarsi dal fuoco amico: l’ambiguità di Parigi. Infatti sono i libici stessi che chiedono all’Europa un aiuto per pattugliare il confine meridionale del Paese, dove oltre a droga e armi transitano i migranti verso il Mediterraneo. I Paesi dell’Unione si sono più volte detti disponibili a svolgere questo compito, al quale però si è sempre opposta Parigi, che preferisce un accordo bilaterale con i libici per controllare da sola il sud del Paese. Il prossimo 14 giugno, la Francia proporrà agli altri Stati membri di spostare da nord a sud l’operazione “Irini”, destinata ad attuare l’embargo sulle armi in Libia, ma solo dopo le elezioni, che nessuno sa se si terranno veramente il prossimo dicembre.
Quanto alla Repubblica Centrafricana, da anni funestata da una sanguinosa guerra civile, gli uomini di Mosca hanno firmato un accordo con il governo locale che prevede, in cambio di grosse concessioni minerarie nel Paese, l’addestramento delle forze di sicurezza locali e la protezione del presidente Faustin- Archange Touadéra. E anche lì sono presenti circa duemila uomini della Wagner, i quali ammazzano impunemente non solo i ribelli ma anche gli oppositori del regime. I metodi brutali degli “istruttori” russi preoccupano il personale delle Nazioni Unite che ha stilato una lunga lista dei crimini commessi, in cui si parla di esecuzioni sommarie di massa, stupri, sequestri, torture durante gli interrogatori, attacchi contro le organizzazioni umanitarie, spostamenti forzati di popolazioni. L’influenza russa è sempre più incisiva anche grazie a un’abile propaganda. Il 15 maggio è stato proiettato nello stadio di Bangui, davanti a 20mila spettatori, una superproduzione cinematografica russo-centrafricana: un film di guerra in cui i soldati di Mosca e quelli del regime combattono eroicamente contro orde di sanguinari ribelli, ovviamente sostenuti e addestrati da un perfido generale francese.