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 2021  giugno 05 Sabato calendario

Così Cavour fece l’Italia

Per il mondo intero la data di domani rievoca lo sbarco in Normandia e l’inizio della liberazione dell’Europa dal nazismo. Per noi italiani, benché uniti nel riverente ricordo dei caduti sulle spiagge di Omaha e dintorni, dovrebbe esser quella della morte del principale artefice dell’Unità del Paese. Camillo Benso, conte di Cavour, morì infatti esattamente 160 anni fa, il 6 giugno 1861.
L’EDUCAZIONE
Era nato il 10 agosto 1810 a Torino da una famiglia di media nobiltà, strapazzata prima dalla Rivoluzione francese e poi dalla restaurazione dei Savoia. Il padre, marchese Michele, prediligeva il figlio maggiore Gustavo e ritenendo il cadetto di intelligenza modesta, inadatta alle supreme cariche civili, lo spedì all’accademia militare. Anni dopo, a Winston Churchill sarebbe accaduta la stessa cosa. Così entrambi furono abituati alla disciplina, educati al dovere e spronati all’emulazione. Se è vero che la guerra è cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali, un buon politico dovrebbe sempre avere una sana educazione militare. Il generale Figliuolo ne è ora un esempio.
Proprio come Churchill, Camillo si appassionò presto alla politica e alla lettura. Divorava i libri degli illuministi francesi e degli utilitaristi inglesi, e sognava il potere nella sua forma più nobile, di slancio riformatore in una società pigra e conservatrice. Al contrario di Napoleone, che pensava nella nostra lingua e dovette faticare per padroneggiare la sua, Cavour pensava in quella di Voltaire e solo tardi riuscì a scrivere in corretto italiano. La sua casa era a Parigi e le sue amicizie in Europa. Conosceva poco del resto della penisola e nulla del nostro mezzogiorno. Eppure già maturava il sogno di diventare Primo ministro del Regno d’Italia.
LE COMPETENZE
La sua carriera politica non fu precoce, ma fulminea. Fu eletto al Parlamento subalpino a 38 anni, assistette sconfortato alla sconfitta di Novara e all’abdicazione di Carlo Alberto. Con l’avvento di Vittorio Emanuele II, acquistò sempre maggiore influenza, soprattutto per le sue competenze nell’agricoltura, nelle finanze e nei trasporti. Nel 1850 fu protagonista nella promulgazione delle leggi Siccardi, che toglievano alla Chiesa alcuni ingiustificati e anacronistici privilegi. Ne trasse una scomunica, ma non se ne turbò più di tanto: come i suoi maestri filosofi, credeva in Dio ma diffidava dei preti.
IL PROGETTO
Nel 1850 diventò ministro dell’industria e del commercio, l’anno dopo delle finanze, e il 4 novembre 1852 capo del governo. Da quel momento i suoi programmi non riguardarono più soltanto le ferrovie e i bilanci, ma quelli più elevati di un Piemonte alla guida di una risorta Nazione italiana. Immaginava il percorso lungo e difficile, ma realizzabile: si dimostrò anche più rapido del previsto.
Il suo capolavoro diplomatico fu, come tutti sanno, il coinvolgimento della Francia nella guerra contro l’Austria per l’annessione del Lombardo-Veneto. Questa terra ricca e gloriosa era stata consegnata all’Impero al congresso di Vienna, e invano i moti popolari del 48 e la prima guerra d’indipendenza avevano provato a liberarla.
LA DIPLOMAZIA
Cavour capì che, da solo, il piccolo Regno di Sardegna non sarebbe mai riuscito a sconfiggere le armate asburgiche, e che l’unica potenza in grado di aiutarlo era quella governata da Napoleone III. Spedì a Parigi degli accorti diplomatici – compresa la bellissima contessa di Castiglione con incarichi ausiliari – e iniziò a lavorarsi l’Imperatore con un’abilità degna di Talleyrand. Il suo colpo di genio fu l’intervento nella guerra di Crimea, dove inviò un piccolo ma efficiente corpo di spedizione che si comportò bene. Questo gli consentì di sedere al congresso di pace, dove una sessione fu dedicata all’Italia, non più considerata, secondo la sprezzante battuta di Metternich, un’espressione geografica.
L’amicizia con Napoleone III si consolidò in un’alleanza militare, e Cavour ne approfittò per stuzzicare l’Austria che, con arrogante miopia, impose a Vittorio Emanuele II un umiliante e inaccettabile ultimatum. Torino e buona parte dell’Europa reagirono indignati, le truppe austriache si mossero, Napoleone intervenne in nostro aiuto, e le forze sardo-francesi riportarono le vittorie di Solferino, San Martino e Magenta. La pace di Villafranca fu turbata dalla mancata acquisizione del Veneto, ma intanto l’equilibrio della Penisola era saltato. Garibaldi conquistò il meridione e lo cedette al Re di Sardegna. I plebisciti dell’Italia centrale avevano già consacrato l’annessione, e così il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia.
IL RISULTATO
Il Papa, cui erano stati sottratti buona parre degli Stati pontifici, rinnovò la scomunica. Garibaldi avrebbe voluto marciare anche su Roma, ma fu prudentemente fermato dal nostro cauto ministro, per timore della reazione francese. In realtà, due anni prima, nessuno aveva pensato che la guerra con l’Austria avrebbe portato un frutto così copioso, e Cavour, ritenendo questa unione prematura, nemmeno l’aveva auspicata. Ma l’astuzia della Ragione, come insegnava Hegel, o il caso, come sosteneva Tucidide, spesso ci portano verso risultati imprevisti.
Con queste riserve, Cavour ebbe appena il tempo di godersi il frutto della sua sapiente diplomazia. La sera del 29 maggio, fu assalito da fabbri malariche. Fu sottoposto a numerosi salassi che ne aggravarono le condizioni, confermando il detto di Napoleone che i medici avevano sulla coscienza più morti dei suoi generali. I maligni insinuarono che, reduce da un incontro con una ballerina, il maturo gentiluomo fosse stato punito – come anni dopo sarebbe accaduto al presidente francese Félix Faure – per eccesso di zelo, o che addirittura fosse stato avvelenato. In realtà la malaria e i salassi erano sufficienti per spedirlo all’altro mondo. Ci arrivò all’alba del 6 giugno, dopo essersi confessato con un frate che, per aver somministrato il sacramento a uno scomunicato, fu sospeso a divinis dall’irritato Pio IX.
IL REALISMO
Non è vero che le sue ultime parole siano state Libera Chiesa in libero Stato. Ma è vero che questa fu la sua filosofia e la sua principale preoccupazione in un Paese diviso tra un grossolano anticlericalismo e una retrograda bigotteria. Cavour fu un liberale vero, contrario a ogni eccesso e incline alla tolleranza. Dovette confrontarsi con l’arruffato attivismo di Garibaldi e le visionarie utopie di Mazzini: ne scartò le idee più radicali, recepì quelle più sensate e le compose in una politica razionale, realistica ed efficace. L’Italia dovette aspettare De Gasperi per ritrovare uno statista del suo rango.