il Fatto Quotidiano, 5 giugno 2021
Caroglio: «Dovremmo essere capaci di morire giovani.Morire giovani rimanendo vivi»
Il suo passato di magistrato e il suo presente di autore di successo si tengono per mano, in una sovrapposizione tanto aderente che la fede nella giustizia che vibra nella scrittura non è che il riverbero di quella che per anni ha officiato nelle aule di tribunale. In Ragionevoli dubbi si legge: “Le storie sono uno strumento per dare senso al caos. Le storie sono tutto quello che abbiamo”.
Processi e romanzi sono per Gianrico Carofiglio, 60 anni appena compiuti, le due facce di una stessa medaglia: la ricerca della verità. Ecco perché le parole (l’uso etico e semplice del vocabolario contro tutti i bizantinismi) definiscono l’uomo prima ancora che il letterato. Nato e cresciuto in una Bari che Mario Sansone definiva “senza ironia e senza malinconia”, Carofiglio ha raccontato il capoluogo pugliese in molte sue opere ma è probabilmente ne Il passato è una terra straniera che la città, tra i vicoli stretti del centro storico e la modernità rampante, emerge in tutta la sua anima torbida e notturna. Nella storia di due amici che il destino prima unisce nell’illegalità e che poi divide in nome di uno scarto morale, c’è la fascinosa Bari da bere degli Anni 80.
Carofiglio, papà ingegnere e mamma scrittrice siciliana (ecco l’imprinting fatale per la letteratura) entra in magistratura a 25 anni. Prima pretore a Prato e poi Sostituto procuratore antimafia tra Foggia e Bari fino al 2007. Una legislatura da senatore del Pd e poi la toga appesa definitivamente al chiodo. Un autore – nel suo nomadismo editoriale dai volumetti blu Sellerio ai dorsi gialli di Stile Libero Einaudi, senza dimenticare le incursioni con Rizzoli – capace di sedurre una comunità di lettori tanto vasta da trasformare ogni suo romanzo o saggio in un best-seller.
Capofila del thriller legale, con trame consapevoli che non hanno nulla da invidiare agli americani Grisham o Turow, Carofiglio riesce a coniugare codice penale, affreschi d’ambiente e ritratti umani in opere che mettono un piede fuori dal recinto di genere. I suoi personaggi, pur alle prese con crimini e investigazioni, sono sempre complessi e sfuggenti. Da Guido Guerrieri, avvocato penalista che si divide tra buoni libri e tiri al suo sacco da box, a Pietro Fenoglio, vecchio maresciallo dei carabinieri piemontese trapiantato a Bari, a Penelope Spada, ex pubblico ministero milanese depressa e quasi alcolizzata (protagonista del nuovo La disciplina di Penelope, uscito a gennaio per i Gialli Mondadori), Carofiglio racconta la solitudine che grava su carnefici e vittime, su inquirenti e imputati, in un cortocircuito di passati ingombranti e difficoltà relazionali che finisce per marcare una realizzazione di sé mai davvero compiuta. Le sue storie non sono mai allestite per pura messa in scena ma procedono lungo gli argini di un’appassionata denuncia civile. Testimone inconsapevole, il suo esordio del 2002 e da pochi giorni in libreria con una nuova edizione Sellerio per celebrare il record della centesima edizione, ha al centro l’odissea di un ambulante senegalese accusato dell’omicidio di un bambino. I temi sensibili si rincorrono: il maltrattamento sulle donne (Ad occhi chiusi), il traffico di droga (Ragionevoli dubbi), la corruzione di un magistrato (La regola dell’equilibrio), l’errore giudiziario (Una mutevole verità), la malavita e i pentiti (L’estate fredda).
Carofiglio, con il suo fisico asciutto forgiato dal karate, è riuscito nell’impresa di assestare un colpo anche nel tempio della narrativa consacrata. Due le sue partecipazioni al premio Strega. Lo scorso anno con La misura del tempo (Guerrieri alle prese con la falsa colpevolezza di un imputato e segreti del suo passato) si è dovuto arrendere a Veronesi, nel 2012 è stato spettatore della disfida per soli due voti tra Piperno e Trevi con Il silenzio dell’onda: i tormenti e il passato di un ex agente segreto e i rapporti tra padre e figlio. Tema caro all’autore che ci è ritornato con Le tre del mattino: viaggio a Marsiglia tra un padre matematico e un figlio liceale. Nel libro brilla un passaggio che potremmo elevare a cifra della vita e della scrittura di Carofiglio: “Dovremmo essere capaci di morire giovani. Non nel senso di morire ma nel senso di cambiare vita, morire giovani rimanendo vivi”.