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 2021  giugno 05 Sabato calendario

Orsi & tori

Chissà se, in queste sette settimane trascorse dalla sua nomina a ceo di Unicredit, Andrea Orcel ha avuto qualche pentimento di aver accettato o se invece si sta gasando per affrontare gli enormi problemi che ha trovato dentro il grattacielo di Piazza Gae Aulenti. Uno che ha molta esperienza e che in Unicredit c’è stato a lungo, quasi al vertice, non ha dubbi: il ciclone Jean Pierre Mustier ha svuotato il secondo gruppo bancario del Paese, vendendo tutto il sistema di gestione del risparmio, vendendo le migliori partecipazioni come Fineco, vendendo (o svendendo) tutti i crediti che avessero anche una minima possibilità di non essere incassati; Mustier ha beneficiato molti amici e se n’è andato senza salutare...
Questa è certo un’opinione, anche se autorevole, ma è una opinione. Il fatto è che opinioni di questo genere dentro e fuori di Unicredit ne esistono a decine. Vale quindi la regola che se in tre la pensano alla stessa maniera, il loro pensiero è quasi una realtà fattuale.
Insomma, chi pensa che in Italia ci siano due gruppi di pari taglia europea e che quindi ne manchi solo un terzo per pareggiare i conti con la Francia, si sbaglia. Al massimo ce n’è uno e mezzo e quindi il lavoro di Orcel, a cui abbonda la professionalità e la determinazione, dovrà far recuperare alla banca alcuni anni di gestione assurda, se non si pensasse che fosse destinata di fatto a una fase liquidatoria per portare il rimanente nel portafoglio di una banca francese. Per fortuna che il governo lo ha capito e ha mandato a fare il presidente un uomo di esperienza e conoscenza del mondo economico come Pier Carlo Padoan. Che, come primo atto, ha inevitabilmente deciso di far capire a Mustier che il tempo per lui era scaduto.
Guardando con crudezza a questa realtà, se è vero che l’Italia debba avere tre gruppi bancari di dimensione europea per tenere il passo dei principali Paesi della Ue, occorre, mentre Orcel lavora per il recupero di Unicredit, mettere mano in maniera coordinata all’edificazione del terzo gruppo.
La base c’è già e a costruirla ci ha pensato, con la bonomia di chi assorbe lo spirito bolognese, pur non essendolo, un assicuratore grande amico dell’amministratore di Mediobanca, Alberto Nagel. Per il terzo gruppo l’architetto e costruttore è Carlo Cimbri, cagliaritano ma senza più alcun segno di accento sardo. Fruendo della sintonia con Nagel, ha prima costruito il secondo gruppo assicurativo italiano, partendo dalle cooperative di Unipol e assorbendo la Sai disastrata da Salvatore Ligresti e i suoi accoliti.
Cimbri prima ha messo un piede, per emilianità, in Bper, che sta per il vecchio nome di Banca popolare dell’Emilia-Romagna; poi ha fatto un consistente aumento di capitale, arrivando al controllo di fatto della banca con il cambio del management; quindi ha approcciato la nobile Banca popolare di Sondrio, prima con circa un 4% del capitale per salire subito al 9%, appena è arrivata la sentenza del Consiglio di Stato che obbliga l’ad Mario Alberto Pedranzini e i suoi uomini alla trasformazione in spa. È a questo punto inevitabile che Bper, rafforzata degli 800 sportelli ricevuti nell’ambito dell’acquisizione di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo, si integri con Popolare di Sondrio. Ma da sole le due ex popolari non possono certo diventare il terzo grande gruppo italiano, anche se il collegamento o il controllo con una grande compagnia assicurativa garantisce un modello di successo simile a quello di Intesa Sanpaolo, che per la verità da banca è diventata dall’interno anche compagnia di assicurazioni, in un’idea a cui il ceo Carlo Messina, con successo, non ha lesinato energie, specialmente dopo la mancata opa su Generali.
Per capire che cosa sta succedendo occorre una nota su chi è stato artefice del rafforzamento di Bper con l’acquisto di 800 sportelli. L’artefice è stato Nagel, superando la freddezza storica con Intesa Sanpaolo, avendo finora in comune solo la partecipazione generosa e sociale al capitale dello Ieo e del Monzino. Quando Leonardo Del Vecchio voleva diventare il dominus dei due ospedali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca ridussero la freddezza reciproca e fecero muro insieme, affidando, guarda caso, la presidenza delle due eccellenze ospedaliere di Milano proprio a Cimbri. Insomma, è chiaro che dopo la fallita operazione di Intesa Sanpaolo su Generali, da sempre parte di Mediobanca, che aveva accentuato quella freddezza, ora le tre strutture fanno affari insieme, come l’acquisto di 800 sportelli di Ubi da parte di Bper con l’advisoring di Mediobanca. E a Intesa Sanpaolo può stare più che bene che il terzo gruppo italiano abbia un Dna popolare. Un tipo di banca che ha nelle piccole e medie imprese la parte consistente di clienti, mentre Intesa Sanpaolo pur avendo grande attenzione alle pmi con la Banca (interna) dei Territori, assai ben diretta da Stefano Barrese, ha come clienti tutti i più grandi gruppi del Paese, grazie anche alla specializzazione corporate di Banca Imi e con proiezioni importanti fino in Cina.
Insomma, fra il primo gruppo italiano, nonché primo o secondo gruppo europeo per patrimonio e capacità di generare utili, e il potenziale terzo gruppo sembra esserci armonia o addirittura cooperazione. Ma a oggi è tutt’altro che soddisfatta l’ambizione di Bankitalia e di chi guarda con razionalità al ruolo delle banche, di avere un terzo gruppo di dimensioni europee. Siamo solo all’inizio. Ci vuole almeno un terzo soggetto da unire a Bper e Sondrio.
Il candidato naturale c’è, sia per format popolare che per copertura della piazza principale del Paese, cioè Milano. È il Banco Bpm, nato dalla fusione di Milano e Verona, che già aveva cambiato nome come Banco popolare, ben presente nel Nordest, mentre Bpm è forte da 100 anni in Lombardia e ormai in tutta Italia.
Ma Cimbri vorrà percorrere questa strada? A spingerlo ci sono vari fattori, a cominciare dalla matrice popolare delle tre banche, quindi volta ad avere attenzione in particolare al territorio. Una caratteristica ideale per rispondere alle esigenze della struttura portante dell’economia italiana, cioè le pmi.
In realtà, Banco Bpm ha anche due entità fondamentali per un gruppo di livello europeo: una banca d’affari come Akros, e una banca di gestione del denaro e del private banking come Banca Aletti.
Basteranno queste caratteristiche per far sì che l’integrazione a tre si compia?
In questo scenario c’è un terzo incomodo che ondeggia fra Milano (Unicredit) e lo spezzatino, evocato recentemente ma ora abbandonato secondo le informazioni di MF-Milano Finanza di venerdì 4. Si tratta di Mps, per lunghi anni nell’area di centrosinistra non fosse altro per avere la sede nella rossa Siena, da sempre governata dalla sinistra.
La nomina a presidente di Unicredit dell’ex ministro Pier Carlo Padoan, nonché deputato eletto nel sicuro collegio di Siena per il Pd, va nella direzione di un matrimonio con Unicredit. Ma a Siena domina l’incertezza sul destino di quanto resta di quella che era la terza banca italiana. Superando i condizionamenti che arrivano dalla Bce, la destinazione naturale sarebbe appunto quella. Ma come abbiamo visto, Orcel ha molte gatte da pelare prima di poter pensare a un’integrazione, per questo periodicamente riparte l’ipotesi che ciò che resta del Monte sia destinato al terzo gruppo, lasciando fuori Banco popolare, dove il presidente Massimo Tononi e l’ad Giuseppe Castagna stanno facendo un ottimo lavoro e non nascondono che una fusione è necessaria, anzi indispensabile. E ne parlano apertamente, senza infingimenti, esprimendo anche un chiaro gradimento per il sistema delle popolari, cioè con Bper e Sondrio, che sicuramente hanno ancora oggi l’imprinting popolare e la consapevolezza di cosa può voler dire una integrazione a tre se non ci fosse lo stesso Dna.
Chi si aspettava che nelle annuali Considerazioni finali Bankitalia facesse filtrare la presenza di un progetto importante è andato deluso. Anche guardando con la lente di ingrandimento, nessuna opzione è stata espressa dal governatore Ignazio Visco nel suo tradizionale discorso a 360 gradi. Sono passati i tempi in cui i matrimoni li organizzava e celebrava Bankitalia, anche se talvolta qualche governatore avrebbe voluto imitare Don Abbondio.
Le carte sono quasi tutte in mano ai banchieri. E i più determinati appaiono proprio Tononi e Castagna. Per arrivare a realizzare le loro preferenze di unirsi alle due popolari sotto l’egida di Unipol e quindi conservare una sorta di naturale leadership sia per dimensioni che per collocazione geografica occorre capire quali intenzioni ha Cimbri e di quali mezzi può disporre per realizzare un gruppo a tre coordinato.
Il patrimonio di Banco Bpm è consistente e il capitale è partecipato da molti fondi. Una partita quindi utile da portare a termine, ma che richiede risorse e forza persuasiva.
Certamente a Tononi e Castagna, due manager che hanno ampiamente dimostrato la loro competenza e bravura, la via verso Piazza Gae Aulenti non può piacere molto, perché metterebbe in secondo piano il loro ruolo: da persone serie, tuttavia, si dichiarano pronti a fare in primo luogo l’interesse del Paese, ben sapendo che l’interesse del Paese è che non sia disperso il meglio dell’esperienza delle banche popolari dopo la loro abolizione per decreto. Mentre in Francia, quello spirito di assoluta vicinanza ai territori esiste, sia pure capovolto, attraverso il gruppo Crédit Agricole, una delle tre grandi banche d’Oltralpe che, appunto, in schema capovolto è controllata da tante banche agricole locali. E l’Italia, le autorità italiane, il sistema bancario e finanziario italiano non possono trascurare la forza crescente in Italia proprio del Crédit Agricole che sotto la guida solida di Giampiero Maioli, con presidente Ariberto Fassati, ha appena concluso l’acquisto di una banca popolare dalle ampie tradizioni, come Creval. E sicuramente non si fermerà qui.
Tutto ciò delinea uno scenario da analizzare con attenzione, perché è vero che l’unica entità realmente europea, assieme alla moneta comune, è la Bce che in collaborazione con le banche centrali nazionali dovrebbe disegnare il futuro del sistema bancario europeo. Invece, paradosso inaccettabile, è che le regole di vigilanza e quindi le strategie, la Bce se le fa scrivere dall’Eba, l’European bank association, a cui partecipano anche gli Stati che non fanno parte della Bce. I risultati catastrofici di questo disallineamento, per fare un esempio, sono palesi nelle decisioni prese da Eba prima del Covid e fatte scattare dal 1° gennaio scorso, secondo cui se una capogruppo o una singola società ha anche solo una modesta segnalazione in Centrale rischi, magari già chiusa dalla banca con la cessione del credito a specialisti di npl, non può ricevere nuova finanza nonostante il resto del gruppo marci bene. Non solo il commentatore Angelo De Mattia, ma lo stesso presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, hanno più volte invocato la necessità di una dissoluzione di Eba. Una scelta complessissima da ottenere. E proprio per questo, per l’importanza fondamentale per un Paese come l’Italia, che ha tanto risparmio privato, ma tanto debito pubblico; un Paese che ha la struttura produttiva organizzata con milioni di pmi, proprio per questo è urgente che si riapra proprio in Italia un dibattito e un’analisi, anche pubblica, se si vuole su queste pagine, per delineare l’assetto presente e futuro del sistema bancario. Ad oggi, dopo secoli e secoli, nonostante internet, nonostante gli Ott che fanno anche i banchieri, le banche vere sono ancora fondamentali per il futuro economico di un Paese, soprattutto se sapranno cogliere tutte le opportunità delle nuove tecnologie. Possibile che il tono dell’analisi non si rifaccia alto e sensato, come fu al tempo della creazione di due campioni europei come Unicredit e Intesa Sanpaolo? Ma allora il primo a parlare e a dare l’indirizzo fu il governatore pro tempore Antonio Fazio. Non crede, Signor Governatore Visco, che passata la lettura delle Considerazioni finali, dove si menziona il consolidamento ma solo in funzione della redditività, sia il caso di ripartire con considerazioni capitali su un tema decisivo per il Paese qual è l’assetto e l’evoluzione del sistema bancario? Ovviamente non con intenti dirigisti, ma per un salutare confronto di idee, che generino stimoli veri. (riproduzione riservata)