Tuttolibri, 5 giugno 2021
Intervista a Ilaria Tuti
L’idea mi è venuta ascoltando l’intervista di un’attrice americana: lamentava che non esistevano ruoli per cinquantenni al cinema, se non di cattiva o di madre, come se, dopo aver perso il sex appeal della gioventù, non si contasse più nulla: viviamo in una dittatura della bellezza e della giovinezza». La parola chiave per entrare nel mondo di Ilaria Tuti è empatia, un’intelligenza emotiva profonda e originale, grazie a cui riesce a immedesimarsi nei panni altrui, con lo stesso metodo investigativo della sua Teresa Battaglia, commissaria dal fisico ferito e dal cervello straordinario. Non una protagonista a sua immagine e somiglianza, come spesso accade: Tuti è una giovane madre che ha deciso di vendicare la categoria delle donne sole dalla parte sbagliata dei cinquanta. «Mi sono ispirata a moltissime donne mature straordinarie nel lavoro e nella vita. È un’età molto generosa verso gli altri».
È vero che per il nome si è ispirata alla fotografa Letizia Battaglia?
«Si, sono un’appassionata di fotografia e avevo visto un documentario su di lei. Sono rimasta affascinata. È stata la prima fotoreporter italiana nella Sicilia degli Anni 70. Una società terribilmente maschilista, poliziotti e inquirenti non la facevano nemmeno avvicinare al luoghi dei fatti di cronaca. L’unico che era sempre cortese con lei era il bandito Giuliano. Una guerriera che se ne è andata di casa con le due figlie pagando caro il prezzo della libertà, proprio come Teresa».
Lei però è crudele con Teresa e con i suoi lettori: l’ha fatta ammalare di Alzheimer, minacciando la sua vera forza, la mente scintillante... Vuole farci soffrire?
«Soffro anche io per Teresa! Ma è il mio modo di rappresentare il viaggio dell’eroe: per una donna come lei, che usa la sua memoria e le sue associazioni mentali per investigare, è la più grande sfida. E lei, come tutti i sopravvissuti, è bravissima a cambiare e adattarsi. Un perfetto esempio di teoria darwiniana».
La memoria, il passato hanno grande importanza nelle sue trame. Cosa la affascina tanto?
«Ho una grande passione per la storia, esercita su di me un fascino irresistibile e lo voglio trasmettere al lettore. Qualsiasi luogo in Italia è a strati, basta scavare un po’ e si incontrano civiltà, popoli, retaggi diversi. Al centro di questo libro c’è Aquileia, dalle mie parti nel Nord Est. Un posto forse non molto noto ma affascinante: è stata una delle grandi città dell’Impero Romano, ma non solo, sono passati di lì egizi e longobardi, infinite genti, riti e punti di vista. Magnifici da raccontare».
Lei vive da sempre a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Mai avuto voglia di scappare dalla provincia?
«Sì, certo, come tutti a 18 anni volevo scappare, sognavo orizzonti più ampi. Mi sentivo ai margini del mondo. Poi il mondo l’ho un po’ visto e ho rivalutato Gemona, ho capito che se mi stava stretta è perché non la conoscevo: quello che mi ha insegnato la libertà è stato proprio comprendere il passato. Ho cambiato la mia vita a 40 anni ed essere radicata qui ora per me è un enorme valore aggiunto. Intanto mi ha aiutato a gestire la rivoluzione del quotidiano, quando sono diventata famosa, e poi è una perenne fonte di ispirazione, colgo suggestioni continue dal folklore e dalla storia locale».
Lei prima che scrittrice è stata illustratrice. Come pensa, per parole o per immagini?
«Per immagini. Sono ancora sempre e profondamente illustratrice. La pittura è arrivata prima, il disegno e i colori hanno fatto parte del mio modo di esprimermi fin da piccolissima. L’elaborazione dei testi viene dopo. In realtà le storie le vedo nella mia mente, come un film, poi non faccio altro che descriverle al lettore ».
Nel libro il serial killer è anche un artista e l’arte è descritta come qualcosa che tiene a bada il male. Ne è convinta?
«Profondamente. In questi tempi di cancel culture siamo abituati a giudicare l’arte dalla statura morale dell’artista, invece anche una persona cattiva può creare arte meravigliosa. L’artista è un individuo con le antenne particolarmente dritte, che assorbe gli umori del mondo e li sa restituire alla gente. In certi casi la necessità di comunicare la propria visione artistica diventa una vera e propria ossessione, una pulsione incontrollabile, che se non trova sfogo può diventare aggressività. Ed è stato studiato che le fasi della creazione artistica non sono poi così lontane da quelle dell’omicidio seriale. L’arte proviene da un punto profondo, arcaico dentro di noi, che spesso oltrepassa la razionalità».
Il vero Male nel libro comunque non è rappresentato dal serial killer ma dall’ex marito violento di Teresa. Un argomento di tragica attualità se pensiamo alla piaga dei femminicidi nella nostra società.
«Purtroppo è così anche nella realtà: il vero male che uccide è spesso quello casalingo, il 70% dei crimini contro donne e bambini avviene nell’ambito familiare. L’omicidio commesso da un serial killer è in un certo senso meno perfido, perché si tratta di persone mentalmente malate, con una coazione a uccidere. La violenza e le sevizie nascoste all’interno delle case sono terribili, perché rivolta verso chi dovrebbe potersi fidare di te. Non nascono mai da un amore mal interpretato ma dal desiderio di potere e di controllo, dall’incapacità di gestire il proprio fallimento».
Come mai Teresa, una donna colta e in carriera, non riesce ad allontanarsi dal marito violento?
«Purtroppo non è facile. Tendi con te stesso a giustificare il male e lei, proprio per la sua capacità di empatia che la rende un’ottima investigatrice, cerca di identificarsi nel marito e vedere le sue ragioni. È una pesante eredità culturale quella che le donne devono sconfiggere, prima di tutto dentro se stesse: capire che valgono anche da sole, che non hanno bisogno di un uomo. Soprattutto che devono scegliere e non aspettare di essere scelte. Spero che per le nuove generazioni, come mia figlia, sarà più facile, devo educare me stessa per educare lei alla libertà».
A proposito di figli, un altro tema molto forte nel libro è quello della maternità. Non necessariamente biologica, che perché Teresa dopo le violenze non può più avere figli.
«Sì, la memoria e la maternità sono i due temi che più mi stanno a cuore, e in particolare il tema della maternità mancata mi commuove: è un grande dolore. La maternità comunque è prima di tutto un approccio alla vita e agli altri. Ho conosciuto donne mature che non hanno mai avuto figli eppure si ponevano verso i più giovani come madri. È un atteggiamento di accoglienza, di generosità, di capacità di passaggio di testimone, lo stesso che ha Teresa con il suo sottoposto Marini, che anagraficamente potrebbe essere suo figlio».
Nel libro tutti tengono dei segreti: sono un pericolo o una necessità per l’essere umano?
«Mi autodenuncio subito: io sono favorevole ai segreti. Non alla menzogna, si intende, che ha il fine di ingannare gli altri. Ma al fatto che non si voglia dire tutto, aprire il proprio animo completamente. Sinceramente non ne vedo la ragione. Il segreto fa parte dell’animo umano, è giusto tenere qualcosa protetto, nascosto dentro di sé. Mi affascina l’idea che nel mondo la materia oscura sia preponderante rispetto a quella conosciuta e che a muoverci, a farci prendere certe decisioni, siano più le parti di noi stessi in ombra che quelle alla luce del sole».
Eppure Teresa è una cacciatrice di segreti.
«Sì, è una cacciatrice ma con un grande rispetto dei segreti altrui. Il suo indagare nell’animo umano non è freddo, razionale, ma, appunto, ricco di empatia. Sa che le zone d’ombra sono piene di tormento»
Sente il suono dell’ombra, per dirla con Alda Merini, una poetessa che lei ama molto, vero?
«Moltissimo, anche se qualcuno la definisce con sufficienza "popolare" perché non è abbastanza aulica o erudita: una donna non giovane, non bella, che pure rivendicava per se il diritto a vivere e ad amare. Finita in manicomio per la denuncia di un marito che non riusciva a controllarla. Lei, proprio come la mia Teresa, ha ricevuto una sorte dolorosa dal destino ma non si è mai chiesta "perché proprio a me?". Ha accolto il dolore e tutto quello che comportava e ha usato la sua sensibilità per creare qualcosa di bellissimo».
Un altro scrittore che indaga nell’ombra è Stephen King, anche lui uno dei suoi favoriti se non sbaglio?
«Condivido con lui il mio amore per la parte oscura e le sue suggestioni. E poi ha una capacità eccezionale di entrare nel mondo dei ragazzini, un mondo emotivamente ricchissimo. Sono più arcaici degli adulti, più vicini all’essenza dell’animo umano».
Va bene l’oscurità, ma ci prometta che non farà più soffrire troppo Teresa. È chiaro che ci sarà un’altra avventura e certo il lieto fine è impossibile però...
«Sì, il viaggio dell’eroe non è finito, ci sono ancora misteri da svelare e ho già in mente come la farò uscire di scena. Prometto che sarà una cosa molto rasserenante».