La Stampa, 5 giugno 2021
Rivestiamoci alla marinara
E’ il classico capo unisex che profuma di vacanza. Basta guardarlo e subito vengono in mente magnifiche spiagge, gite in barca, ristorantini sul mare dove cucinano il pesce fresco.
La marinière è un indumento iconico pieno di significati e souvenir che ognuno lega a momenti felici. Tanti ricordano ancora adesso con nostalgia quando negli Anni Settanta andavano a comprare quella maglia al mercato americano di Livorno: in corposo cotone o pungente lana cruda, con scollo a barchetta e bottoni sulle spalle che le signore più maliziose lasciavano slacciati da una parte. In una sorta di vestivamo alla marinara ammantato di sensualità.
Seguendo la flotta
La maglia a righe marinara, comunque, non ha età. La indossi come ti pare. Sia in versione ammiraglia chic la sera sotto il blazer blu con i bottoni dorati e i pantaloni bianchi; sia in stile mozzo di lusso, da sola, con i tipici calzoni alla pescatora rosso bretone un po’ stinti. Come da copione. Quel che conta è lo spirito, l’illusione di respirare l’odore salmastro che evoca lo sciabordio del mare.
In cotone blu scuro con le righe orizzontali bianche, o viceversa, è un evergreen che non ha ancora conosciuto un momento di oblio. E quest’anno è più attuale che mai, sospinto anche dalla tendenza navy che nasce da un bisogno comune di riconciliarsi con la natura e le sue origini misteriose, di ritrovare una certa sintonia perduta in questi anni frenetici e soprattutto negata dal lungo periodo di clausura imposto dalla pandemia. I colori del cielo e degli oceani non hanno mai smesso di accendere la fantasia degli stilisti e di quei marchi che da sempre considerano la marinière un best seller da sfornare puntualmente ogni estate con minime variazioni.
Magari alleggerendola con mischie di materiali nuovi o tingendola anche di rosso. Senza mai stravolgerne le origini. Perché l’abbigliamento yachting ha le sue stigmate: a sprazzi deve strizzare l’occhio ai capitani di lungo corso dei libri di Salgari e ai fumetti di Corto Maltese.
Origini affascinanti
Chiamata anche tricot a righe questo capo - a maniche lunghe in jersey di cotone - arriva dal mondo del lavoro. Indossato prima, dai pescatori bretoni, diventò nel 1858 la divisa ufficiale dei marinai francesi (le righe che appaiono nell’iconografia nel XVII secolo servivano, secondo la tradizione, a trovare con più facilità gli uomini caduti in mare).
Un’autentica marinière comporta, però, caratteristiche tecniche ben precise. Ad esempio: sul torso e sulla schiena le 20 righe blu indaco devono essere larghe 10 millimetri, distanziate una dall’altra di 20 millimetri. E sulle maniche le 14 righe blu indaco devono essere larghe 10 millimetri, a loro volta distanziate di 20 millimetri.
Fu Coco Chanel a includere la marinière nei nostri armadi in versione femminile, promuovendola a simbolo dello stile chic balneare, sublimato a Deauville e dintorni. A traghettare la chemise Breton nel firmamento glamour provvedettero poi artisti e intellettuali del calibro di Pablo Picasso a Jean Paul Sartre. Seguiti a ruota da infinite star.
Tra gli Anni 50 e i 60 la sfoggia Audrey Hepburn nella vita di tutti giorni, sposandola alla perfezione con la sua eleganza rilassata.
Jet set e dintorni
Amatissima dal jet set, la maglia a righe arriva anche sul grande schermo. A lanciarla, due pellicole di Jean Luc Godard. In Fino all’ultimo respiro (1960) è Jean Seberg a indossarla, pantaloni risvoltati e zazzera cortissima. Mentre Brigitte Bardot la esibisce nel film Il Disprezzo (1963). E la lista continua, soprattutto pensando ai film francesi. Fra le immagini indimenticabili, spicca quella di Jeanne Moreau in bicicletta con una maglia Breton in Jules e Jim (1962). Mentre sull’altra sponda dell’Atlantico compare in versione rock addosso a Patti Smith che negli Anni 70 la sfoggiava sul palco durante i concerti a New York, abbinandola un paio di semplici jeans. Sublimata da Fassbinder in Querelle the brest è stata eletta indumento simbolo delle sue collezioni da Jean Paul Gaultier che la declinava anche sulle toilette da sera ritenendola un portafortuna, tanto da adottarla lui stesso alla fine di ogni sua sfilata quando usciva in passerella.
Non resta che riappropriarsene accostandola con ironia a short, pantaloni della tuta, minigonne o calzoni ampi. Magari illuminata da una manciata di catene dorate, come faceva Coco Chanel. Ovviamente fintissime.