La Stampa, 5 giugno 2021
Giuseppe De Rita non crede nell’assegno per la famiglia
I movimenti demografici sono lentissimi, si può invertire una tendenza ma non tra l’oggi e il domani, piuttosto in cinquant’anni come è successo Francia. Sono processi lunghi e non credo che l’assegno unico cambierà qualcosa. Ma sfido chiunque a dire come sarà il Paese del futuro. Non sappiamo se tra vent’anni avremo più immigrati o se tornerà la voglia di fare i figli perché saremo meno spaventati di oggi. Certo, un welfare diverso potrebbe aiutare, ma non sarà questo l’aspetto determinante». Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, non è solo uno dei uno dei maggiori sociologi italiani, capace di cogliere i segni di una società in movimento da decenni. Il professore è anche a capo di una tribù di otto figli e 14 nipoti. Confessa di non essere un appassionato del tema "assegno unico". E comunque non pensa che il nuovo welfare condizionerà l’andamento demografico.
Perché sostiene che l’assegno unico non inciderà?
«Non vedo gli italiani fare calcoli in base a questo. Anzi. Non si fanno figli per motivi diversi. Non è l’intervento pubblico che può creare una trasformazione. Oggi le giovani coppie rinunciano ai figli per due motivi. Uno di carattere storico. Il futuro si programma se c’è un ambiente in cui tutti si muovono, crescono. Tra il ’61 e il ’73 io e mia moglie abbiamo avuto otto figli. Era un momento in cui crescevano l’industria, l’occupazione, i consumi, ci si sentiva in un clima di sicurezza e si pensava che tutto sarebbe andato bene. Se non c’è quel clima, quella voglia di andare avanti, il singolo non si sente libero di pensare al futuro. Può temere di non farcela con i soldi, di non poter garantire ai figli l’istruzione necessaria, ma è solo l’aspetto razionale».
E poi, cos’altro?
«I figli si fanno se la società cresce. Ci puoi mettere tutti soldi che vuoi, poi lanciare appelli o encicliche ma non ce la fai. Se la società non cresce non si investe nei figli. Siamo una società che ha vissuto su un tasso molto alto di soggettività individuale. L’esplosione della piccola impresa, la voglia di non avere un padrone e di fare da soli e il desiderio di un lavoro indipendente, ma anche l’esplosione dei consumi degli anni ’70 e ’80. Ognuno cercava il suo sfizio, magari nell’apertura di uno studio professionale, oppure cercava la felicità nel consumo di quel momento. La soggettività è stata il motore della società italiana. Chi ha voglia oggi di mettere su famiglia e progettare il futuro? Siamo una società spaventata. Prevale la paura».
Crede che la paura sia peggiorata con la pandemia?
«Non possiamo dirlo, così come non possiamo dire oggi come cambierà l’economia. Lo capiremo tra sei, sette mesi, quando vedremo come i tanti soggetti consumeranno in maniera vera, quando le imprese ricominceranno a esportare. Capiremo qualcosa tra l’autunno e l’inverno, quando vedremo come vanno i licenziamenti, quando non ci saranno gli ammortizzatori sociali, quando bisognerà fare la legge di bilancio senza aggravare il debito pubblico. Non so come cambierà l’economia e non lo sa nessuno».
Il fenomeno delle culle vuote non è solo italiano. In Europa siamo tra i Paesi messi peggio ma in buona compagnia.
«L’Europa non fa figli perché è un continente vecchio che ha già fatto la sua storia. Si fanno i figli quando si pensa che si possa fare la storia. Anche i nostri emigrati facevano tanti figli perché pensavano di cambiare il mondo. Oggi nessuno pensa di cambiare il mondo e in Europa è solo la Francia ad aver invertito la tendenza demografica. Trent’anni fa ha avuto paura di essere destinata alla morte demografica e ha fatto una politica anche culturale e non solo a base di welfare, ed è riuscita a invertire la rotta».
Se lei avesse potuto chiedere allo Stato degli aiuti per la sua famiglia numerosa cosa avrebbe chiesto invece dell’assegno unico?
«Non si chiede qualcosa allo stato per avere i bambini. Ai miei tempi c’era ancora una legge di Mussolini per la quale chi aveva cinque figli veniva completamente detassato. Ovviamente il fascismo aveva interesse alla natalità. Comunque io non l’ho potuta utilizzare ma ho continuato a fare figli. Per le famiglie non è mai stato importante. Certo se c’è un welfare completo, pesante, con ospedali che si prendono cura di figli e mogli, scuole e asili per tutti e funzionanti, questo potrebbe nel lungo tempo aiutare. Ma non credo che oggi una coppia giovane decida di mettere su famiglia in base alla garanzia di un asilo».
Di sicuro però aiuterebbe le mamme che spesso al secondo figlio lasciano il lavoro.
«Non ho mai fatto ricerca su questo, mi porti delle statistiche e mi ricrederò, ma penso sia una favola. Anzi, un’offesa per le donne di oggi tese alla propria affermazione. Magari rinunciano a fare un figlio o lo posticipano a quarant’anni ma non credo che lascino il lavoro per questo. Le donne di oggi sono molto più forti di noi maschietti, si affermano in ogni campo con determinazione e capacità. E di sicuro fanno di tutto tranne lasciare il lavoro».
Pensa come Mario Draghi che un Paese senza giovani sia destinato a impoverirsi?
«Non è detto. E non è detto che il trend continui. Potremmo diventare una società multi razziale e magari gli italiani ricominceranno a fare figli».