Corriere della Sera, 4 giugno 2021
Intervista a Lewis Hamilton
«Avrei voluto conoscerlo adesso Mandela, quando l’ho incontrato ero giovane e non ancora pronto». Dopo nove minuti di intervista Lewis Hamilton si scusa: «Devo andare alla riunione con gli ingegneri, torno fra un’ora e continuiamo. Va bene? Mi dispiace ma è importante...». Ci mancherebbe, il briefing tecnico è fondamentale per mettere a punto la Mercedes per il Gp dell’Azerbaigian a Baku. Ha quattro punti da recuperare su Max Verstappen, leader del Mondiale, è abituato alle rimonte. A volare alto, anche quando si lancia nel vuoto da un aereo e danza nell’aria con lo «skydiving», una forma di paracadutismo.
Chissà che paura Toto Wolff quando avrà visto il video. Lo fa spesso?
«Non molto spesso, quella clip era della fine dell’anno scorso. Non mi sembrava giusto pubblicarla prima con tutti i problemi causati della pandemia. L’ho fatto ora perché mi piace condividere sensazioni e mostrare le mie esperienze. Non sono un esperto della disciplina, ma sto imparando».
Che sensazioni prova?
«Se potessi salterei da un aereo tutti i giorni: ho preso qualche lezione, a Dubai e in Spagna, e due anni fa ho ottenuto il patentino».
Ha ottenuto anche la «patente» di leader, prova più soddisfazione per i sette Mondiali o per i risultati delle sue battaglie anti-razzismo?
«Sono due felicità completamente diverse. Sono orgoglioso di vedere sempre più persone che escono allo scoperto. Sempre più Federazioni sportive che prendono consapevolezza dei problemi, della discriminazione che subiscono gli atleti. Ma c’è ancora moltissimo da fare, il razzismo non si risolve inginocchiandosi o con gesti simbolici».
E allora in che modo?
«La vera domanda da porsi è: “Che cosa sta facendo la mia organizzazione per migliorare la situazione?”. Ci sono state tante azioni concrete quest’anno: il black out dei social media, al quale hanno aderito il calcio e tanti sport, contro gli abusi in rete, il bullismo, perché non si poteva più andare avanti così».
Così come?
«Che uno vede una partita di calcio, scrive insulti razzisti, e va avanti impunito. E la gente non se ne preoccupa, come se fosse impossibile intervenire. E invece si può. Se succede dentro a uno stadio o in un circuito chi insulta deve essere immediatamente allontanato. Se gli permetti di continuare lo stai coprendo. Sa che cosa mi rende orgoglioso della mia squadra e della F1?».
Che cosa?
«Che ci sia un impegno serio, un controllo continuo anche dei partner con i quali lavoriamo, per rendere il nostro sport più inclusivo. Per far sì che aumenti la presenza femminile e delle minoranze. Ma una cosa è parlare, l’altra è agire. Sono due fasi distinte».
E lei in che fase è?
«Nella fase dell’azione in quella in cui dobbiamo spingere al massimo».
Perché per la maggior parte degli sportivi parlare di temi sociali o politici è un tabù?
«Molti non parlano perché non ne sanno abbastanza, e li rispetto. Ma non vedo neanche perché non possano imparare. Viviamo tempi in cui tutti commentano tutto, a volte senza nemmeno provare a capire. Leggevo le reazioni sulla guerra fra Israele e Palestina, la maggioranza sono di persone che non hanno mai messo piede in quei luoghi o che non hanno letto nulla. C’è chi dice chissenefrega e chi invece si preoccupa, io sento delle responsabilità».
Di che tipo?
«Tutti abbiamo responsabilità: di educare, di migliorare il pianeta, di non restare in silenzio».
Lottare per vincere sette titoli e battersi contro la discriminazione dà gioie diverse Vedere tante persone che prendono coraggio mi dà forza, ma non bastano gli inchini
Parla come un leader politico, è questo il suo futuro dopo la F1?
Scoppia a ridere: «Ma no! Non sono per niente bravo in politica. Cerco solo di dare il mio contributo, di trovare il modo di far arrivare dei messaggi. Per essere sicuro che mio nipote di 5 anni, e quelli della sua generazione, non vivano quello che abbiamo vissuto noi. Che trovino un mondo più aperto».
Una voce lo chiama: «Lewis dobbiamo andare...». Un’ora dopo, puntuale, il re della F1 ricompare sorridente. «Scusate, dove eravamo rimasti?».
Ai grandi temi, ha conosciuto Mandela prima di scoprire l’impegno sociale, se potesse rivederlo ora che cosa gli direbbe?
«Avevo 23 anni, vivevo sulle montagne russe e non ero preparato per un incontro così importante. Se potessi vederlo ora gli chiederei dove e come ha trovato la forza di uscire di prigione senza provare rabbia, risentimento, odio. Come ha fatto a prendere un tè con i giudici e le guardie che lo avevano incarcerato?».
Torniamo alle corse. Si vede in pista fino a 40 anni come Alonso e Raikkonen?
«Spero francamente di non correre a 40 anni. Ci sono talmente tante cose che voglio fare che sarebbe difficile. Ma nella vita l’evoluzione è talmente rapida da spiazzarti. Per esempio non mi aspettavo di divertirmi tanto quanto mi sto divertendo in questa stagione».
La esalta il duello con Verstappen?
«Non credo che sia per Max o per qualcun altro. Il motivo è che ogni giorno scopro cose nuove su di me. Con i lockdown per la pandemia ho avuto più tempo per rifinire il mio talento, il corpo e la mente. Io competo sempre contro me stesso. Penso a come battermi, guardo a come ero l’anno scorso e a come superare un sette volte campione del mondo».
C’è una nuova generazione di piloti pronta a sfidarla, di Leclerc che ne pensa?
«Non guardo molto i rivali, ma i nuovi sono fantastici. Lando Norris, George Russell, Charles, e Carlos soprattutto: appena arrivato sulla Ferrari sta guidando benissimo, con Leclerc forma una coppia molto forte. La F1 è in buone mani, prevedo un futuro divertente».
Hamilton e Verstappen, tipi diversi. Max sostiene di avere grande rispetto, però fra voi ci sono state battaglie anche ruvide. Lo sente questo rispetto?
«Sì, dentro e fuori dalla pista. E non deve cambiare. È un pilota straordinario ed è molto divertente sfidarlo».
Angela Cullen, perché è una figura tanto importante per lei?
«I piloti in genere hanno un preparatore, ce l’avevo anche io fino a quando ho capito che non mi serviva. Avevo bisogno di qualcuno che mi sostenesse negli alti e nei bassi, che mi rendesse la vita il più semplice possibile».
Angela come ci riesce?
«Svolge una marea di funzioni: è una fisioterapista naturale, se ho un guaio al collo lo risolve. Mi segue con la dieta, si assicura che beva abbastanza liquidi durante la giornata. Si preoccupa di ogni cosa in modo che io debba solo a pensare solo a guidare. E poi è una persona solare, trasmette energia positiva. È una delle mie migliore amiche, sono fortunato ad averla accanto».
Ha mandato un messaggio di solidarietà a Naomi Osaka, perché?
«Quando sei giovane spesso vieni buttato nell’arena impreparato e accusi la pressione. È successo anche a me, impari dagli errori. Essere multati per avere parlato della propria salute mentale non è bello, tutte le reazioni contro di lei sono state ridicole. La vicenda doveva essere gestita in modo diverso. Naomi è una grande attivista e una grande atleta, ma ricordiamoci prima di tutto che è un essere umano».