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 2021  giugno 04 Venerdì calendario

«Roma città aperta», manifesto paradossale del neorealismo

Per celebrare la Festa della Repubblica, Andrea Purgatori ha riproposto Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini («Atlantide», La7). Era da tempo immemorabile che non rivedevo questo straordinario film e sono stato colpito dalla scritta iniziale: «Ogni identità con fatti e personaggi reali è da ritenersi casuale».
È una clausola questa che si mette quasi sempre per non avere grane con qualcuno che si identifica in un personaggio, ma è curioso trovarla nel manifesto del neorealismo. Non ci avevo mai fatto caso. Se non ricordo male, già André Bazin sosteneva che il cinema di Rossellini era così essenziale da decantare la realtà in astrazione. Per la prima volta mi sono accorto che la realtà tragica di quei giorni è raccontata secondo canoni espressivi ben sperimentati, con personaggi costanti nel comportamento e quindi prevedibili, riconoscibili: i buoni, i cattivi, la morte tragica di Pina (la magistrale scena di Anna Magnani mitragliata dai nazisti), la vittima sacrificale (il prete), l’attricetta traditrice, i nazisti sempre elegantissimi, tra drink e ambiguità sessuali.
Niente di meno neorealistico, nessuna vocazione ad alimentare il mito di una «realtà che parla da sola»: il montaggio è sovrano. La grande novità è che il cinema abbandona Cinecittà, gli studios, esce per le strade, diventa «realistico», quando elimina una serie di diaframmi rispetto a una sua specificità tecnica. Non si tratta cioè di registrare una realtà preesistente, ma di mettere in atto una sensibilità cinematografica tanto sofisticata quanto moderna.
La credibilità e soprattutto l’emotività che il film sprigiona nascono dall’uso di schemi drammaturgici classici, da codici di rappresentazione ben sperimentati, paradossalmente in contrasto con le teorie del neorealismo. Roma città aperta è il manifesto negletto della nascente televisione italiana.