Linkiesta, 4 giugno 2021
Crescere con Nanni a Bologna
A Roma hanno tutti un aneddoto su Nanni Moretti. Tizio racconta di quella volta che gli ha tolto il saluto perché amico di uno che aveva riportato una sua frase senza autorizzazione; Caio di quando passò dalla sua scuola mentre faceva la maturità; Sempronio del bar di Prati in cui l’ha visto pochi giorni fa e voleva avvicinarsi per scusarsi d’un articolo che scrisse nel Novecento e che non gli piacque – i musi di Nanni sono leggendari, e l’umanità è perlopiù Troisi con Savonarola, nei suoi confronti – ma poi si è vergognato, perché insomma, è Nanni Moretti, mica lo avvicini in un bar come fosse Magalli.
Ho abitato a Roma per diciassette anni, naturalmente ho il mio aneddoto su Nanni Moretti, e naturalmente è un aneddoto miserabile. Non so neanche bene quanti anni fa fosse, direi un po’ meno di venti. Era un convegno d’intellettuali che dovevano dire alla sinistra dove sbagliava, o qualcosa del genere. Non mi pare lui parlasse, era solo venuto a vedere, se ricordo bene. Ero lì a scrivere una cronaca, lo avvicinai chiedendogli se per caso volesse rilasciarmi una dichiarazione, mi rispose con la migliore imitazione del tono della ragazza che dice a Woody Allen «Sparisci, sgorbio». Fine del mio aneddoto su Nanni Moretti (che, come tutti quelli che non lo conoscono, chiamo «Nanni» come fosse un caro amico).
Naturalmente fu una fortuna, come lo fu quella volta che Arbasino mi attaccò il telefono in faccia. Se i santini della mia giovinezza non mi avessero pescinfacciata, magari sarei diventata una di quelle che si sentono amiche d’un poster solo perché il poster una volta ha rivolto loro la parola col sussiego che si riserva ai devoti.
Tutto questo per dire che ieri mattina, man mano che tutte ci svegliavamo e vedevamo il video che Nanni aveva caricato su Instagram nella notte, il mio telefono era monopolizzato da messaggi sul seguente elenco di temi: è stato meglio avere diciassette anni quando Nanni cantava E ti vengo a cercare o sarebbe meglio averceli ora che canta Soldi; il video in cui si vedono prima le donne del film e solo alla fine si vede lui è o non è infine la risposta a «Spòstati e lasciami vedere il film»; è più fortunata Francesca Archibugi che aveva diciott’anni quando uscì Ecce Bombo o siamo state più fortunate noi con l’adolescenza coeva di Palombella Rossa?
A quest’ultima domanda la risposta è ovvia: noi. Nessuno è sfortunato quanto Archibugi, che sta per dirigere Nanni nel Colibrì. Ma t’immagini dirigere Nanni? È molto peggio che se Arbasino m’avesse risposto cortesemente al telefono, è la mia idea d’inferno.
La seconda domanda è più trabocchetto; quella di Dino Risi è la battuta più sbagliata (e quindi più citata dagli imbecilli) della storia delle battute: Nanni è il film, se si scansa cosa resta? Anche quando – come in questo video con le attrici di Tre piani, che noi mortali dovremo aspettare fino a settembre per vedere – asseconda lo spirito del tempo mandando avanti le donne, passi il primo minuto ad aspettare che le tapine si scansino e ti lascino vedere Nanni. È il suo clap clap su Mahmood che vuoi vedere, mica il loro.
La risposta alla prima domanda è che Soldi è, senza dibattiti, la più bella canzone italiana degli ultimi anni, e non riesco a immaginare una diciassettenne che non se ne accorga; la me diciassettenne, Battiato non se lo filava minimamente (sì, l’ho già scritto, sì, mi ripeto, sì, l’autobiografia è destino).
La me diciassettenne, se Nanni nella piscina da pallanuotista avesse squarciagolato un Guccini o un Conte, sarebbe andata in brodo di giuggiole; la me diciassettenne andò in brodo di giuggiole anche perché Nanni usava I’m on fire: se usa il disco più rilevante della mia adolescenza, non può che essere il regista più rilevante della mia adolescenza. Palombella Rossa fu il pomeriggio in cui Nanni vinse la gara con Fassbinder, e non importava che nessuno dei due sapesse d’essere in gara e che fosse solo una cosa mia, perché noialtre cresciute con Nanni non avevamo nessuna intenzione di scansarci e lasciar vedere agli altri un film che non fosse il nostro.
(La me quarantanovenne ogni volta deve cercare daccapo la data di nascita e fare il conto con le dita, e ogni volta non ci crede comunque, che Nanni avesse trentacinque anni quando girò Palombella Rossa, e trentasei quando, in conferenza stampa a Venezia, disse «col tema importante si vince sempre, ricattando il pubblico»; la me che a trentacinque anni non si sapeva trovare il culo con le mani non ci può credere, che ’sto stronzo fosse già così lucido).
Poi, mentre mi sdilinquivo sulla fortuna di vivere adesso, questo tempo sbagliato per tutto il resto ma in cui puoi vedere sul telefono Nanni che batte le mani sulla canzone più bella della tua giovinezza, un’amica guastafeste ha buttato lì il dubbio che forse ai diciassettenni di oggi di Moretti non freghi niente. Ma forse in effetti neanche a molti dei nostri tempi. Li vedi, oggi, nostri coetanei che non sanno niente e ti chiedi in che vuoto culturale e politico abbiano trascorso l’adolescenza. Ma forse persino io – se non fossi stata di Bologna, se non fossi stata priva di personalità, se non avessi modellato i miei consumi e i miei interessi su quelli della Chicca e se la Chicca non fosse stata interessatissima alla morte del Pci – forse persino io sarei stata una ragazzina disinteressata a Nanni.
Forse non sarei stata una splendida diciassettenne, e non sarei potuta diventare quest’adulta con solido senso delle priorità, che guarda il video di Nanni e si chiede se quel negozio in cui è filmata Margherita Buy sia un Armani.