la Repubblica, 3 giugno 2021
Intervistaa Elio De Capitani
Ad aprire il programma del Campania Teatro Festival sarà un testo mondiale sull’autoritarism o, sulla violenza fisica, sulla ferocia inflitta alle donne e sull’anonimato delle ingiurie, e, al tempo stesso, un dramma sull’arbitrio di rivalsa, nemesi, giustizia personale. Harold Pinter giudicò La morte e la fanciulla dell’autore cileno Ariel Dorfman un classico del Novecento, e Dorfman non fu da meno dedicando il testo all’amico Pinter, e il lavoro debuttò nel ‘91 al Royal Court Theatre, a Londra, dove un’ennesima edizione del dramma ha inaugurato dieci anni fa l’Harold Pinter Theatre, ricostruisce Elio De Capitani, il primo regista italiano a proporre La morte e la fanciulla nel 1997 (due anni dopo il film di Roman Polanski) e ora artefice di un’altra versione nel Cortile della Reggia di Capodimonte, a Napoli, per l’avvio del Festival. L’impressionante personaggio di Paulina, la donna che in un fortuito soccorritore stradale del marito riconosce la voce e l’odore della pelle di chi la torturò e stuprò 15 anni prima durante gli orrori di Pinochet (trauma che la induce qui a sequestrare il presunto ex aguzzino per registrargli una confessione), è un ruolo ora affidato a Marina Sorrenti, l’uomo sottoposto alla micidiale accusa è Claudio Di Palma, e il consorte, neonominato membro di una commissione investigativa del governo, è Enzo Curcurù.
Come mai, De Capitani, a distanza di 24 anni ripropone la sua regia di questo apologo-thriller sui postumi della dittatura cilena, impresa condivisa da Teatro di Napoli, Festival e Teatro dell’Elfo?
«Per la portata universale e politica del lavoro, io e Cristina Crippa, allora interprete dello spettacolo di Dorfman sulla banalità del male, avevamo più volte considerato una ripresa. Poi sui soprusi cileni l’Elfo ha realizzato L’acrobata di Laura Forti, ma vedendo alla prova Di Palma e Sorrenti in Edipo a Colono ho capito che erano perfetti per La morte e la fanciulla».
Come può essere cambiata, nel tempo, la percezione di questo copione claustrofobico e civile?
«Negli anni Novanta del dopo-Pinochet la reazione incandescente a una storia così serrata aveva a che fare con le ferite dettate da un ciclo totalitario e dai colpi di coda di esercito ed economia. Il golpe cileno cambiò anche i nostri equilibri, spingendo Berlinguer al compromesso storico. Ora la ritorsione spietata di Paulina la leggiamo come rivincita d’una figura da tragedia greca scossa da dilemmi, sospesa tra diritti oltraggiati e problemi etici sollevati da un marito arbitro. A uno stupro di regime si aggiunge un altro aspetto inquietante, familiare: lei, non cedendo a delazioni sull’uomo, e tutelandolo, è stata tradita proprio da lui, scoperto a letto con un’altra donna. Offesa su offesa».
Quest’opera di Dorfman sembra contenere dissidi. Paulina, bendata durante lo stupro, può essere certa della colpevolezza del violentatore? La pistola che lei maneggia è lecita? È comprensibile che il marito, verosimilmente ipocrita, la sospetti visionaria?
«Gli enigmi sono molti. I coniugi non si sono parlati, sulla terribile esperienza di Paulina, però ora l’estraneo catturato da lei si lascia scappare qualcosa, e il marito pensa che la moglie possa aver ragione. Ma in uno stato di diritto non sono ammessi i processi in casa. Poi scatta qualcosa di liberatorio tra i coniugi, e ha luogo un racconto mai fatto, di grande intensità. “Io non voglio distruggere la tua carriera, voglio tornare a fare l’amore con te”, dice lei. Sarà vero? E la deposizione dell’imputato non capiremo quanto sia sincera o dettata dalla paura. Nella scena finale, al concerto di Schubert, torturati e torturatori si guardano: è possibile convivere?».
Lei che pensa, in proposito?
«Una sintesi è il contrario della catarsi. Un dramma esemplare deve arrivare diversamente a ciascun spettatore. Leopardi diceva che in noi deve nascere il ricordo dei sentimenti senza poesia sentimentale. Al termine della prima prova, noi eravamo commossi. In un impianto che è un limbo bianco, senza naturalismi».
Che conseguenze se ne possono trarre, oggi?
«Penso agli smottamenti attuali della società, a questa nostra epoca di ricostruzione alla fine (speriamo) della pandemia, senza più la vera unità del Dopoguerra, col sussistere di divisioni politiche, mentre in America c’è stato l’assalto al Campidoglio, mentre da poco, sentendomi parlare di Pinochet, una signora cilena m’ha dato del comunista, ha detto che io bestemmiavo un santo».