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 2021  giugno 03 Giovedì calendario

Casa di carta, gran finale

A guidarci è Luka Peros, che nella serie interpreta Marsiglia. La visita a Madrid sul set della Casa di carta 5, l’ultima stagione, è virtuale, causa Covid. Peros ha con sé le domande da fare, il giro è completo: dai costumi alla biblioteca, all’incontro con Álvaro Morte, il Professore. Lo dice subito: «Non so come finisca la serie. Sono all’ottavo episodio, è l’ultimo che ho ricevuto e devo ancora ricevere il nono e il decimo, quindi non posso dirvi come finisce, altrimenti mi ammazzano».
Lo showrunner e produttore esecutivo Álex Pina e il regista Jesús Colmenar spiegano che la pandemia ha stravolto tutti i piani. «Abbiamo scritto la quinta stagione mentre la Spagna era in lockdown» dice Pina. «È stata durissima. Avevamo scritto il secondo episodio e l’abbiamo cestinato. Non funzionava. Avevamo quasi deciso di fare il finale alla seconda puntata, per noi è stato l’impulso per ricominciare a scrivere».
Come si chiuderà l’epopea dei rapinatori più famosi del mondo? Sarà un lungo addio, in dieci episodi: i primi cinque su Netflix il 3 settembre, gli altri il 3 dicembre. La saga dei rapinatori piena di simboli, che ha sovrapposto realtà e finzione – le proteste di piazza, la rapina come atto rivoluzionario, le tute rosse, le maschere di Dalì, Bella ciao come inno – letta come una serie “politica”, finisce. Pina e Colmenar spiegano «di aver mantenuto l’impegno a dare alle donne un ruolo centrale. La novità di questa stagione è che Lisbona sarà dentro alla Banca di Spagna e darà un grosso impulso alla serie». Ma scrivere la parola “fine” era inevitabile. «Abbiamo girato oltre 2.000 minuti di riprese con due rapine», dice Pina, «l’arco emotivo e trasformativo di alcuni personaggi è esaurito. Sempre meglio uscire di scena prima, piuttosto che dopo». «Abbiamo molti esempi di fiction internazionali che si sono protratte troppo a lungo», chiarisce Colmenar, «la cosa più intelligente da fare quando una serie è all’apice del successo è, come dice Alex, andarsene col botto: abbiamo puntato tutto sul colpo di scena finale». Quali sono i pro e i contro nel raccontare una rapina? «Il genere della rapina perfetta è una rottura di palle, detto francamente», ironizza Pina. «Quando hai un personaggio molto intelligente, geniale, sei costretto a usare una struttura e una scrittura complicate. Far sembrare qualcuno super intelligente, costringe gli sceneggiatori a disegnare una strategia perfetta in ogni dettaglio. Il piano della rapina non può avere falle». «La rapina è un genere a sé», aggiunge Colmenares, «lo spettatore è al corrente di alcune regole dal principio, è stata un’arma molto efficace all’inizio de La casa di carta. Il pubblico conosce le regole del gioco e entra nella storia, noi abbiamo confezionato colpi di scena all’interno delle regole del genere». Per Pina «il segreto è restare fedeli a sé stessi, noi siamo rimasti legati alla nostra idea iniziale».
Con Bella ciao come colonna sonora, La casa di carta è diventata il simbolo della lotta contro il sistema. «Quando abbiamo cominciato», dice Pina, «uscivamo da una brutta crisi e le manifestazioni degli Indignados in Spagna avevano fatto scendere tante persone in strada. Dopo la crisi della Lehman Brothers la gente era arrabbiata, scettica, non aveva più fiducia nel governo, nelle banche, nelle istituzioni… C’era un clima che abbiamo cercato di trasferire sullo schermo. Però nelle prime due stagioni, girate con queste idee in testa, ne abbiamo parlato solo due o tre volte. E alla fine ha funzionato con la resistenza e Bella ciao perché anche gli spettatori provavano quel senso di frustrazione. È una delle ragioni per cui il pubblico si è appassionato». Perché le tute rosse e la maschera di Salvador Dalí? «In una serie», spiega Pina, «si va sempre alla ricerca di icone. L’anno scorso sono state prodotte 5.000 serie nei 50 paesi più industrializzati. Perciò devi distinguerti, avere un’identità, un tuo Dna. La maschera doveva avere un grosso ruolo. Avevamo preso in considerazione due nomi: Don Chisciotte e Salvador Dalí. Doveva essere un personaggio che fosse genio e sregolatezza, perché il modo in cui entrano nella zecca nazionale è anche un po’ folle, no?». «Le tute da lavoro rosse», aggiunge Colmenares, «sono venute dopo. Volevamo scegliere un solo colore e ne abbiamo parlato con Miguel Amoedo, il direttore della fotografia. Lo scopo era smorzare tutti i colori primari, in modo che il rosso potesse risaltare e diventare un punto di riferimento visivo costante. Perciò abbiamo deciso di far indossare ai rapinatori e agli ostaggi una divisa».
Circondato dalle relle con le tute, il costumista Carlos Díez racconta che creare le divise «è stata una sfida. L’idea della tuta viene dalla sceneggiatura iniziale di Pina: quella delle prime due stagioni era diversa dalle attuali con inserti neri, cinture che sono made in Italy. Ne abbiamo fatte circa 500... Ormai sono famose in tutto il mondo, ma se dovessi sceglierne una sarebbe quella indossata dal furetto Sofía, che compare nella terza stagione. È la più piccola, l’ho tagliata e cucita tutta a mano». Il direttore artistico Abdón Alcañiz ha creato la Banca di Spagna e gli altri ambienti. Tutto studiato: le opere d’arte, il neo espressionismo, i colori cupi per far spiccare il rosso. È fiero della biblioteca, con centinaia di volumi: un’illusione. «Sono solo dorsi», spiega smontando intere file, «perché i libri sarebbero stati pesantissimi e avrebbero fatto crollare tutto». La morte di Nairobi influenza le dinamiche di gruppo, gli autori rivelano che nel gran finale si vedranno nuovi set, salta in aria il museo dell’oro, al piano superiore della Banca di Spagna. La trama prevede scene in Danimarca, in Portogallo «perché» dice Colmenar «non abbiamo ampliato solo i set, ma anche le storie dei personaggi». Difficile sacrificare quelli che amiamo o che odiamo? «La fiction è molto cambiata» osserva Pina «prima era impensabile uccidere i protagonisti. Oggi la morte fa parte della narrativa contemporanea e non ti penalizza. Trovo potenti gli episodi in cui muore un protagonista, provocano empatia, è quasi un lutto condiviso con lo spettatore. Per il finale l’obiettivo era abbattere il Professore con un k.o. tecnico. L’idea romantica e buonista di una rapina senza vittime e di una lotta per la libertà senza feriti va a cozzare contro il muro della realtà in quest’ultima stagione. I personaggi dovranno lottare per sopravvivere».