la Repubblica, 3 giugno 2021
Intervista a Attilio Fontana
«Diciamola tutta: siamo stati messi sotto tiro per ragioni politiche. Non è stata una pagina gloriosa per i nemici delle autonomie, e per chi in particolare voleva demolire l’immagine di una Lombardia efficiente. Per fortuna la storia presenta il conto...». Attilio Fontana, presidente della Regione più colpita dal Covid, oggi respira: affronta il liberi tutti dei vaccini con l’ottimismo di chi è in prima fila per numero di immunizzazioni, rivendica i meriti dei governatori nella lotta alla pandemia. E chiede maggiore coinvolgimento nella gestione del Pnrr. «Le scelte vanno condivise con le istituzioni più vicine ai cittadini».
Via ai vaccini senza limiti d’età: siete pronti a quella che il generale Figliuolo definisce la spallata decisiva alla pandemia?
«Sì, ci siamo attrezzati per le inoculazioni, negli hub vaccinali, di tutti i cittadini con più di dodici anni. Con la tranquillità di chi sa di aver già coperto le categorie fragili».
Ma per gli adolescenti non era previsto il coinvolgimento dei pediatri?
«Chi vuole contribuire alla campagna vaccinale è benvenuto: se medici di medicina generale e pediatri chiederanno di partecipare, li ringrazieremo. Non è un obbligo.
Noi andiamo avanti».
In arrivo venti milioni di dosi, ma una buona metà serviranno per i richiami. C’è il rischio di non potere centrare l’obiettivo?
«Non credo: con i quantitativi previsti, anzi, contiamo di arrivare a un livello di somministrazioni mai raggiunto, 140-150 mila al giorno.
Entro fine luglio avremo dato la prima dose a tutti i lombardi».
L’Open day a Bologna ha visto una ressa soprattutto di giovani, caos e disordini. Come pensate di organizzarvi?
«Guardi, noi per fortuna non abbiamo dovuto far ricorso agli Open day, salvo in un paio di occasioni. Questo perché abbiamo avuto un tasso di rinunce moderato e dunque poche scorte da smaltire in magazzino. Questa rimarrà la strada: vaccini solo su prenotazione».
Lei ci crede alla spallata definitiva al Covid?
«Una spallata verso la normalità. Poi in autunno probabilmente dovremo vaccinarci di nuovo. Noi abbiamo quasi pronto un piano per le terze dosi: non più negli hub ma in strutture diffuse sul territorio».
Converrà che ancora una volta, nel frattempo, le Regioni procedono in ordine sparso.
«Guardi, io ritengo che le Regioni abbiano dimostrato di essere unite e importanti nella gestione dell’emergenza. Un esempio: un anno fa, di questi tempi, proponevamo e facevamo approvare le linee guida sulle riaperture. Di lì in poi la nostra collaborazione c’è sempre stata. E se qualcuno avesse ancora dubbi sull’opportunità di rinforzare le autonomie, li elimini».
Sulla Lombardia, travolta dalla prima ondata, ci sono stati giudizi tutt’altro che lusinghieri.
«Attacchi strumentali da parte di chi voleva prendersela con la nostra Regione solo per motivi politici, per demolirne l’immagine di efficienza.
Il tutto in un contesto che ha visto molti nemici dell’autonomia. Non è stata una pagina gloriosa. Per fortuna con Draghi qualcosa è mutato».
Ha notato un cambio di passo?
«Sì. Draghi ci ha ascoltato anche quando avevano opinioni diverse: sulle riaperture, ad esempio, ha preso nota delle nostre richieste, poi ha seguito un percorso che è quello che indicavamo, con tempi diversi».
Ora chiedete allo Stato meno centralismo nella gestione degli oltre 200 miliardi del Recovery.
«L’ha detto Zaia e sono d’accordo.
Anche per un motivo banale. L’anno scorso la Lombardia ha approvato una legge che, per dare risposte all’economia, ha fatto aprire 3.041 cantieri. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di Comuni e Province. Ecco, il governo con noi Regioni dovrebbe ragionare allo stesso modo. Bisogna delegare verso il basso, sennò non mettiamo a terra il Pnrr».
Eppure, secondo i dati allegati al Sostegni-bis, le Regioni non hanno speso 1,7 miliardi destinati proprio all’emergenza.
«Erano soldi destinati alle assunzioni. Ma in Italia mancano medici e infermieri. Purtroppo paghiamo una scarsa programmazione, l’assurda limitazione del numero chiuso in Medicina e una politica di tagli indiscriminati in Sanità dal 2011».
Contento che Bertolaso rimanga al suo fianco in Lombardia e non sia candidato sindaco di Roma?
«Sinceramente sì, vista la sua abilità e il suo carisma. Mi spiace per i romani ma me lo tengo stretto».
Intanto a Milano la Lega non trova un candidato.
«Magari il candidato c’è e ancora non è noto... Civico, politico, non importa. Serve qualità contro Sala che ha il vantaggio di essere uscente. E serve che il centrodestra non si divida».