Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 03 Giovedì calendario

Intervista ad Andrea Gaudenzi, il presidente dell’Atp


Può essere che Andrea Gaudenzi faccia un sopralluogo a Torino, casa delle Finals per i prossimi 5 anni, dopo la finale di Wimbledon, ma il presidente dell’Atp, già numero 18 del mondo nel 1995, preferisce andare per gradi. Il tennis ha riallineato lentamente i pianeti, il pubblico sulle tribune, il calendario rispettato: insomma si rivede la luce.
Crisi finita allora?
«Abbiamo patito fino a Roma nella gestione dell’emergenza, poi con i vaccini si sono fatti passi avanti significativi».
Avete quantificato le perdite?
«Siamo attaccati agli introiti della biglietteria mediamente per il 40-45%. Quindi senza pubblico, abbiamo dovuto abbassare il prize money del 20-25% per far fronte al momento».
Salvare i tornei o proteggere i giocatori?
«Non si tratta di andare a destra o a sinistra. Sono due aspetti allineati, serve equilibrio. Il primo anno i tornei mediamente hanno perso tra 60 e 80 milioni, spero che nel 2021 riescano almeno a chiudere in pari».
E i giocatori?
«Hanno pagato la diminuzione i primi 30 al mondo, per chi gioca i primi turni è cambiato poco. Ma i primi 30 sono anche quelli che hanno sponsor personali importanti, hanno avuto perdite accettabili».
Nadal ha detto che la sua generazione ha fatto molta più fatica dei giovani ad adattarsi al tennis durante la pandemia. È così?
«Ha ragione. Se hai 22 anni sei un marinaio, puoi stare lontano da casa anche sei mesi. A 30 fai molta fatica, io per esempio ero arrivato al capolinea. Se hai figli e famiglia ne fai ancora di più. Giocatori come Rafa erano abituati a girare in gruppo, con uno staff al seguito e per un anno è stato loro vietato. Con Roma abbiamo cambiato il protocollo. Più libertà per uscire e per portare più gente insieme».
La piattaforma unica per seguire il tennis è un cardine del suo mandato: quanto è stata rallentata dalla pandemia?
«Vorremmo partire dal 2023 anche se abbiamo perso un po’ di tempo, diciamo che siamo in ritardo di sei mesi. Spero però di poterla votare a Wimbledon».
Il calcio ha provato la rivoluzione Superlega: giudizio?
«Mi sembra bizzarra una lega chiusa, senza il tema della meritocrazia e con il privilegio di non retrocedere. Sarebbe come garantire a Federer, Nadal e Djokovc il posto garantito in tabellone a prescindere dal loro ranking. Poi c’è il fatto che l’interesse nel calcio come nel tennis è per i big, migliori giocatori nei migliori tornei. È qui che si crea il valore che poi serve a sorreggere tutto il resto. Su questo ragionamento mi ritrovo, non però su meccanismi e modalità del calcio».
Come sarà il tennis del futuro?
«Un sistema di partnership tra tornei e giocatori, una divisione dei profitti alla cui base ci sia una forte trasparenza sulle finanze. E poi mi immagino di allungare tutti i Masters 1000 a 10-11 giorni».
Quindi anche Roma diventerà finalmente extra large?
«Dobbiamo dare un anno di respiro ai tornei dopo la pandemia, ma dal 2023 è possibile. Tocco ferro, la direzione però è giusta».
Come ci avviciniamo alle Finals?
«Per la classifica molto bene, visti i risultati degli italiani».
Quanto condiziona non avere il quadro definito e definitivo della situazione sanitaria?
«Molto, non riusciamo a ragionare su un budget certo. Non sapere se o quanto pubblico avremo complica i piani, ma non avremo certezze se non forse in estate. Per ora viviamo di piani A, B e C».
Cinque anni di Finals autorizza a migliorare con il tempo, ma quanto conta la prima edizione?
«Tanto. Non c’è mai una seconda chance per una prima impressione. Non possiamo sbagliare. La qualità dell’evento sportivo non mi preoccupa, sul bacino di utenza invece le incognite sono ancora tante. Ma con un evento di qualità copriremo il 95% degli appassionati, da questo punto di vista sono tranquillo».
Rivedere Federer in campo che sensazioni le ha dato?
«Di grande gioia, dobbiamo essere grati a Roger per ogni volta che ci dona la possibilità di giocare. Fa bene al sistema e al tennis».
Ne faremo mai a meno?
«Roger ha 40 anni, per forza... Ma siamo in una fase di transizione dove i giovani prendono spazio. Il ricambio è importante: Zverev, Tsitsipas, Medvedev, Berrettini assicurano un grande spettacolo. Sono fiducioso».
Stiamo mettendo troppa pressione su Sinner?
«Ma è normale. Più che altro è lui che deve saperla gestire, come l’hanno gestita tanti campioni. Non è il primo a trovarsi in certe situazioni: Becker e Chang alla sua età avevano già vinto uno Slam. Quando giocavo io se entro 18 anni non l’avevi fatto eri quasi bruciato: oggi che la carriera si allunga, e Roger ce lo insegna, c’è meno pressione temporale».
Quindi nessun rischio?
«Ci aspettiamo tanto da lui, è vero. Ma a 19 anni ha fatto la finale di Miami, vinto tornei Atp. Mi sembra abbia la testa giusta e poi cambia qualcosa se riuscirà a vincere uno Slam tra un anno o tre? Conta la durata della sua carriera».
Fino a 10 azzurri nei primi 100: sistema Italia o che altro?
«Non esiste una formula industriale per creare un professionista. Ma è la summa di tante piccole cose, la prima è di aver organizzato tanti tornei in Italia. Poi serve che qualcuno arrivi in alto come Fognini o Berrettini e faccia da traino. In Spagna è successo con Emilio Sanchez, Bruguera fino a Nadal; in Svezia con Borg, Wilander, Edberg. E poi serve fortuna». —