La Stampa, 3 giugno 2021
Clubhouse, l’agora iraniana. C’è anche Ahmadinejad che parla col popolo
Sono le nove e mezza di lunedì sera a Teheran quando Mahmoud Ahmadinejad prende il mano lo smartphone, si aggiusta l’auricolare Bluetooth ed entra nella “stanza” Clubhouse pronta per il suo «Colloquio Libero con il Popolo». Dopo pochi minuti la “stanza” raggiunge la capienza degli ottomila utenti e diverse altre migliaia si devono accodare nelle stanze parallele che fungono da “ripetitrici”. Per le prossime quattro ore l’ex presidente e sempiterno enfant terrible della Repubblica islamica darà vita a una discussione senza inibizioni su una varietà di temi, da una foto presa insieme all’ex leader del Ku Klux Klan David Duke a Teheran nel 2006 («me lo hanno messo accanto, non sapevo chi fosse») alla profonda crisi del 2009 («non sono stati commessi brogli, la repressione post-elettorale non era opera mia») per soffermarsi sul voto del 18 Giugno in seguito alla sua seconda sospensione consecutiva da parte del Consiglio dei Guardiani («non sostengo alcun candidato e non andrò a votare»).
Alla pari di almeno decine di migliaia di iraniani, Ahmadinejad è diventato un utente assiduo dell’ultima meraviglia della Silicon Valley, un social network composto da stanze in cui l’interazione tra membri avviene esclusivamente tramite conversazioni audio in diretta. Complice la pandemia che ha di fatto annullato la possibilità di effettuare qualsiasi attività di massa in maniera fisica e l’assenza di talk show all’occidentale su Radio e tv di Stato, dove i falchi del regime mantengono un ferreo controllo, Clubhouse è diventata a sorpresa l’agorà della società iraniana, uno spazio virtuale dove i devoti della Repubblica islamica ed esiliati politici hanno improvvisamente ottenuto l’opportunità di confrontarsi direttamente, spesso in maniera schietta e dolorosa. Dagli incontri romantici alla letteratura, dalle criptovalute prese d’assalto dai risparmiatori iraniani alle apparizioni contingentate di membri del governo Rohani, passando per le testimonianze di avvocatesse per i diritti umani come Narges Mohammadi e attivisti sindacali come Esmail Bakhshi, non c’è argomento che non sia all’ordine del giorno della miriade di stanze attive a ogni ora.
Nell’Iran in cui gli spostamenti tra province sono stati nuovamente proibiti per contenere la quinta ondata pandemica, Clubhouse è quindi la principale tribuna elettorale dei due moderati rimasti in gara. Il governatore uscente della Banca centrale Abdolnasser Hemmati ha centrato il proprio cortometraggio elettorale, che è stato clamorosamente censurato dalla Tv di Stato, sulle immagini del suo forum su Clubhouse di sabato scorso. Coadiuvato da una giovane assistente intenta a passarli note e appunti e talvolta impacciato sugli ultimi trend della società, Hemmati è stato torchiato per oltre tre ore da una folta platea. A chi chiedeva un resoconto del suo poco popolare mandato alla Banca centrale, Hemmati ha risposto dicendo che le sue azioni hanno salvato l’Iran dal diventare «un’altra Venezuela» evitando un’inflazione al 3500% e ha difeso a spada tratta la propria gestione di un introito petrolifero statale sceso negli ultimi anni da cento a cinque miliardi di dollari. L’altro outsider Mohsen Mehralizadeh ha rivelato martedì sera che intende dare vita al «terzo governo di Mohammad Khatami», in ossequio al tuttora popolare capostipite riformista che fu al potere per due mandati tra il 1997 e il 2005 ma che oggi si trova ai margini della vita politica. Sia il favorito Ebrahim Raisi che altri candidati falchi come l’ex comandante dei Pasdaran Mohsen Rezai o l’ex negoziatore nucleare Said Jalili non sono però ancora entrati nell’arena di Clubhouse.
Rimane da vedere se le comunità iraniane su Clubhouse manterranno la propria vivacità nei mesi a seguire. Assieme ad Instagram, Clubhouse è attualmente l’unico social network occidentale a non essere soggetto all’oscuramento imposto dallo Stato. Ma alcuni grandi service provider hanno già messo in atto ostruzioni e rallentamenti, lasciando presagire che pure quest’innovazione potrebbe aggiungersi a Twitter, Youtube e Telegram nel novero degli strumenti utilizzati in massa dalla società iraniana ma mal tollerati dall’opaco sistema di filtraggio. —