il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2021
I giornali e i camerieri fannulloni
I camerieri non vogliono lavorare, i cuochi se ne vanno all’estero, i lavoratori degli hotel sono spariti: a leggere i giornali in questi giorni di prime riaperture post-Covid sembra di vivere in un Paese di nullafacenti per scelta. Ieri, ad articoli quasi unificati, è arrivato l’ennesimo allarme degli imprenditori che non trovano forza lavoro, soprattutto nel settore turistico e della ristorazione, che ha urgenza di ristrutturarsi per affrontare l’estate. Il sottotesto è un misto di incredulità e di colpevolizzazione dei sussidi (come il Reddito di cittadinanza) che terrebbero i lavoratori ancorati al divano. O, ancora, mancherebbero le professionalità, le cosiddette “skill”: dal servizio alla cucina, all’assistenza degli ospiti. Nei giorni scorsi, con dati ufficiali dell’Istat e delle imprese, Il Fatto ha sfatato il mito della scarsità dei braccianti nei campi, mostrando come in realtà non solo sia aumentata la produzione agricola in molte Regioni, ma anche come parallelamente sia cresciuto il lavoro illegale. E nel mondo della ristorazione, le dinamiche non sono tanto diverse.
Parliamo con Gianluigi Alessio, direttore amministrativo dell’istituto alberghiero Amerigo Vespucci di Roma. Conferma ciò che è chiaro a chiunque abbia contatti, anche indiretti, con la realtà turistica e della ristorazione: “La nostra scuola è all’avanguardia – spiega – formiamo professionisti sia per la sala che per la cucina. Gli imprenditori cercano tra i nostri studenti perché sono formati, dei professionisti insomma. Eppure ai nostri diplomati, più o meno recenti, arrivano per lo più proposte con contratti miseri…”.
Racconta che a un ormai ex studente è stato offerto un lavoro come chef a Miami. “Non ha esitato ad accettare – spiega Alessio – e quando gli ho chiesto come mai vuole partire, mi ha risposto che qui in Italia gli era stato offerto solo un posto con un contratto da stagista”. Uno stagista che avrebbe dovuto lavorare otto-dieci ore al giorno per poco meno di 400 euro. “In America gli offrono 2.500 dollari di paga iniziale, vitto e alloggio, prospettiva di contratti professionistici e un corso di inglese accelerato. Perché mai dovrebbe restare?” La fuga dei cervelli è anche questa. E rischia di aumentare.
“Gli imprenditori non danno dignità a questo lavoro”, continua Alessio. E cosa significa? “Molto semplicemente, un contratto regolare che riconosca il lavoro e la professionalità. Che abbia adeguate tutele e che sia un investimento sul lavoratore, non mero sfruttamento”.
Qui si arriva al punto: nel turismo e nella ristorazione, infatti, si ricorre al nero e a contratti anomali come modus operandi. Questi lavoratori non sono considerati “strutturali”, nessuno li fa crescere, li fidelizza, li inserisce in una squadra. “La mentalità di buona parte degli imprenditori è sintonizzata solo sul guadagno immediato per l’imprenditore stesso. L’imprenditore crede di fare un favore al lavoratore, di dover ricevere gratitudine perenne e a qualsiasi costo per le paghe da fame che elargisce. Sono padroni dispotici, non manager lungimiranti. È ovvio che le persone scappano. Non sono nullafacenti: spesso sono professionisti, ora in difficoltà più che mai, stanchi di essere sfruttati”.