il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2021
L’innalzamento delle temperature mette in pericolo lo sport
Non il Covid-19, ma il caldo: ciò che metterà a rischio nei prossimi anni competizioni sportive, salute degli atleti e le loro performance sarà l’aumento della temperatura globale. “Anelli di fuoco”: è il titolo dell’ultimo documento che analizza dettagliatamente che impatto avrà il riscaldamento climatico sulle prossime Olimpiadi di Tokyo. È stato stilato dalla Basis, Associazione britannica per lo sport sostenibile, che ha documentato che in media, alla latitudine nipponica, le temperature sono aumentate tre volte più veloce che nel resto del mondo e di almeno tre gradi Celsius nell’ultimo secolo. “Il messaggio è chiaro: il numero di situazioni di estremo rischio a cui sottoponiamo gli atleti di tutti gli sport cresce, mentre si intensifica il cambiamento climatico” ha detto il fondatore dell’associazione Russel Seymour.
Disastro ambientale e medaglie. Consci della problematica, gli organizzatori giapponesi hanno pubblicato il piano “Beating the summer heat”, ovvero “sconfiggere il caldo estivo”, ma è l’intero pianeta ad essere a rischio: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha predetto che l’aumento delle temperature potrebbe provocare tra il 2030 e il 2050 38mila morti in più all’anno.
Le Nazioni Unite hanno già chiesto al mondo delle sport di impegnarsi ad invertire la rotta e almeno cento organizzazioni hanno già aderito allo “Sport for Climate action”, un’iniziativa volta a ridurre l’impatto ambientale e promuovere tra i fan educazione e rispetto della natura. Se alcune organizzazioni, – e tra loro ci sono il Comitato Olimpico Internazionale e la FIFA -, hanno firmato il piano d’azione delle Nazioni Unite per arrivare all’emissione zero entro il 2050, tutto il resto dei team non lo ha fatto. Ma “se lo facesse lo sport, lo farebbe anche la politica”, ha scritto David Goldblatt, sociologo e giornalista sportivo.
Ci sarà un’emergenza dopo l’emergenza per i campi verdi dove corrono i calciatori mentre milioni li persone li guardano, avvisa l’autore. La fine della pandemia non significherà fine della crisi: quella climatica, che c’era anche prima, peggiorerà e il calendario dei prossimi decenni è mesto e bagnato per Southampton, Norwich, Chelsea e West Ham. Secondo le stime di Goldblatt, prima del 2050, un campo ogni quattro della lega del calcio britannico è a rischio inondazione. Allagamenti parziali o totali degli studi riguarderanno almeno 23 club dei 92 del football inglese. Anche le arene di rugby, tennis, atletica “dovranno affrontare grandi sfide per l’aumento delle temperature”, ma leader e capi d’azienda non “affrontano seriamente la questione”.
Il risultato dei lockdown che si sono susseguiti per l’emergenza sanitaria invece sono stati (per l’ambiente) una buona notizia: secondo i dati della World Land Trust, solo la finale di Champions League avrebbe generato 10mila tonnellate di carbonio, ma l’assenza del pubblico le ha ridotte ad una soglia che non supera le 3mila. Nel 2021 “torneranno le folle, ma la crisi climatica rimarrà ancora con noi”, scrive ancora Goldblatt, e “non ci sarà ritorno alla normalità”. La fisiologia del surriscaldamento, scrive il sociologo, è complessa ma “qualsiasi cosa si verifichi dopo i 35 gradi mentre giochi a calcio, è una cattiva notizia”: crampi, infarti, assenza di coordinazione e perdita di concentrazione renderanno le partite “fisiologicamente pericolose”.
Quello che si staglia davanti per cambiare è un percorso lungo, ma fatto di brevi passaggi, che però molti ancora dimenticano di compiere. È una questione di speranza: “Se il calcio è pronto ad adottare cambiamenti radicali per fermare il riscaldamento climatico, potrebbe essere in grado di offrirli, in tutta buona fede, all’umanità. E poi non si sa mai”.