Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2021
I prezzi folli della ghisa
Archiviata la frenata del 2020, le fonderie italiane sono ora lanciate verso la ripresa, grazie a un primo trimestre di forte recupero. Il ritorno ai livelli pre-Covid è a portata di mano, già per fine 2021. Ma la corsa dei costi delle materie prime rischia di guastare la festa: per i più piccoli, soprattutto, l’aumento incontrollato dei prezzi potrebbe in casi estremi rendere più conveniente lasciare gli impianti fermi. Roberto Ariotti, presidente di Assofond (l’associazione che raggruppa i principali produttori) è ottimista ma cauto e lancia un alert. «Dobbiamo fare ancora una volta i conti con i costi sempre elevati delle materie prime e con la scarsità di reperimento, fattori che rischiano di impattare negativamente sulla redditività e di rallentare la ripresa iniziata negli scorsi mesi – spiega -. La situazione è preoccupante e questo paradossalmente in un momento in cui di lavoro ce ne sarebbe eccome: non posso escludere a priori la prospettiva di una fermata. Per un po’ abbiamo assorbito i rincari, ma farlo ancora è impossibile. Oltre questo punto non possiamo andare, pena lavorare in perdita».
Il comparto è stato colpito duramente dai lockdown e dalla crisi pandemica nella prima parte del 2020, avviando nel secondo semestre un progressivo recupero che però non è bastato a raddrizzare i bilanci. Produzione e fatturato hanno registrato un calo a doppia cifra, collocandosi sui minimi storici di produzione, dopo un 2019 che già era stato di contrazione rispetto al 2020. Il recupero si è però fatto più robusto nel primo trimestre. Tutti gli indicatori – segnala il centro studi di Assofond – sono in crescita e disegnano una dinamica crescente rispetto alle ultime quattro rilevazioni trimestrali. La variazione ponderata del fatturato, in termini congiunturali, segna una crescita media aggregata del 16% rispetto al quarto trimestre 2020; la maggioranza delle fonderie segnala un incremento delle commesse nel primo periodo dell’anno, la produzione di nuovi modelli e l’acquisizione di clienti. Le fonderie esprimono inoltre un’attesa di variazione del fatturato sulla fine dell’anno che raggiunge il +21% rispetto al 2020. La crescita di fatturato è accompagnata da una crescita della visibilità sugli ordini, a fianco di una marcata crescita dell’utilizzo di capacità produttiva che nel primo trimestre è del 78,1%, e registra un nuovo picco massimo sugli ultimi quattro trimestri.
A rendere meno ottimistico il quadro c’è però il dato relativo alla fiducia per i prossimi sei mesi. «Anche se ci stiamo avviando a una normalizzazione – sottolinea Ariotti – ci sono ancora diverse incognite, che inevitabilmente frenano l’ottimismo. La principale, ancora una volta, è quella legata ai costi e alla scarsità di materie prime, un problema che ci assilla da mesi e per il quale non si vedono soluzioni. I numeri dicono tutto: la quotazione della ghisa da affinazione è passata da una media di 319 euro la tonnellata, rilevata a settembre 2020, ai 599 euro delle ultime rilevazioni, +88%».
In generale «il materiale scarseggia – spiega Ariotti – e i tempi di consegna sono lunghi. Per la ghisa in pani, ad esempio, proseguono le difficoltà del Brasile nel garantire le forniture, legate quasi certamente agli sviluppi della pandemia. A oggi, si ipotizzano i nuovi arrivi dal Sudamerica non prima dell’autunno». In questo caso «non siamo ancora a rischio fermo della produzione – prosegue il presidente -, ma i costi sempre maggiori erodono i margini e complicano i piani di crescita e di investimento delle aziende al punto che le nostre previsioni, che solo poche settimane fa lasciavano prevedere un recupero di quanto perso nel 2020 già a fine 2021, potrebbero venire disattese».
Per alcuni piccoli produttori, rivela un’indagine interna, risulterebbe più conveniente rallentare la produzione piuttosto che subire gli extracosti legati ai rincari. Un rischio che le filiere, cui le fonderie sono interconnesse (tra queste quelle dell’automotive, della meccanica, della produzione di energia elettrica, del settore estrattivo, dell’edilizia e dell’aerospazio) non possono permettersi di correre. «Siamo un anello chiave per la transizione a un’economia più sostenibile – conclude Ariotti -: nelle fonderie vengono prodotti componenti per pale eoliche, centrali idroelettriche e automobili sempre più leggere. Senza i nostri prodotti, la decarbonizzazione che l’Ue vuole è impossibile. E non è facile sostituirci: operiamo ai più alti livelli di sostenibilità e possediamo un know-how che altrove non esiste. Questo patrimonio immateriale deve però esserci riconosciuto dalle industrie committenti».