Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 02 Mercoledì calendario

In morte di Carlo Orsi

La prima parola che viene in mente pensando a Carlo Orsi è «integrità». Un modo di stare nel mondo raro e appassionato che ha segnato il suo fare, con la fotografia al centro. Qualcosa che rende dolorosissimo questo commiato perché stiamo parlando di una persona e di un autore indimenticabile in quanto schivo, per nulla disposto al compromesso, all’autopromozione, con il quale abbiamo viaggiato, lavorato, sognato. Si commoveva con nulla, andava in bestia per poco, celando così una delicatezza sorprendente.
A parlare sono state sempre e soltanto le sue immagini, originali, poetiche, irriverenti, realizzate lungo una carriera cominciata giovanissimo, come assistente di Ugo Mulas. Milano, il Bar Jamaica e il «Corriere della Sera» a due passi da casa. Nato in via Solferino, 8 marzo 1941. Artisti affamati di tutto e il grande giornale come sponde di una geografia che ha influenzato il suo percorso. Reporter e cronista per campare, Lucio Fontana e Piero Manzoni per attraversare un altro universo, per definire uno stile proprio, influenzato dalle raffinatezze intellettuali di chi dipingeva, scolpiva dentro una città straripante di energia. È stata la sua sensibilità a trasformarlo nel compagno di viaggio di Arnaldo Pomodoro, del quale ha curato l’immagine dal 1984, di Valerio Adami, Emilio Tadini, Gianfranco Pardi, mentre si dedicava anche ad altro. Alla moda, lavorando per le più importanti testate italiane e straniere, alla pubblicità, realizzando una serie di campagne memorabili per La Perla, Omsa, Swatch, American System, Philip Morris, Ducati, Alias, Cassina, Catellani&Smith. La Leica tra le mani, il rullino da bianco e nero, le sue «erre» arrotatissime per spiegare una intenzione, una visione.
Nelle fotografie di Carlo ci sono donne padrone della propria libertà, c’è l’architettura urbana, un’umanità vispa. Ci sono le sue passioni. Per Milano, le Dolomiti, i motori, la convivialità e l’arte. E c’è, sempre, una aspirazione giornalistica marcata. Ciò che lo portò a realizzare nel 1965 il libro Milano con Dino Buzzati (magnifico e quasi introvabile), replicato cinquant’anni più tardi con i testi di Aldo Nove; il volume Extasi sulla caduta del muro di Berlino, l’opera Atto Unico, Jannis Kounellis e i libri in collaborazione con Interplast, associazione di volontari in chirurgia ricostruttiva, seguiti da Orsi in Tibet, Uganda, Cina, Bangladesh e Bolivia.
Nel 1997, insieme a sua moglie Silvana e agli amici di una vita (Emilio Tadini, Gianfranco Pardi, Guido Vergani, Giorgio Terruzzi), fondò la rivista «Città» per raccontare Milano con il contributo dei più grandi fotografi, da Francesco Cito a Francesco Zizola, a Elliott Erwitt. «Il giornale più bello del mondo» diceva, pensando a un nuovo numero da pubblicare entro il 2021.
Era rimasto fino all’ultimo un grande reporter, dentro la dimensione creativa di inventore d’immagini. Alcune di queste hanno fatto storia, come il ghisa in divisa bianca appoggiato alla balaustra della fermata Duomo del metrò, sullo sfondo del design di Franco Albini e delle scritte di Bob Noorda. O come l’umanità dolente dei treni del Sud alla Centrale, con le valigie di cartone e certi volti in chiaroscuro che delineano paure e speranze.
Amava scarpinare fuori dalle rotte, nelle zone di confine, verso i terrain vague della città dove anche il bancone di un bar, un tavolo da biliardo o una bocciofila gli suggerivano un ritratto, ispiravano una storia da portare via. Cinque anni fa, come per riempire un vuoto in una carriera straordinaria, aveva accettato l’invito del «Corriere» e accompagnato il cronista in un viaggio alla ricerca di gente fuori dal comune. Era l’anticamera delle buone notizie nelle quali Carlo Orsi credeva, e restano indimenticabili alcuni incontri con persone capaci di trasmettere esempi positivi, di riscatto e di umanità: i loro racconti lo facevano commuovere. Una delle ultime foto, quella di Ada Comoretto, titolare della Termoelettrica, simbolo della resistenza artigiana all’invasione modaiola in corso Como a Milano, è diventata oggi una gigantesca vetrina. Certi scatti, a rivederli, parlano, autenticano, esprimono sentimenti, indignazione, speranze.
Questo è un saluto a un amico portato via da un tumore aggressivo, ed è una fatica fare i conti con l’assenza di una persona che si faceva sentire con poche parole. Volano adesso come nuvole, nei cieli magnifici delle sue fotografie.