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 2021  giugno 02 Mercoledì calendario

Intervista a Franca Imbergamo, la pm che raccolse la confessione di Brusca

PALERMO – «La prima volta che l’ho interrogato – ricorda Franca Imbergamo – c’erano ancora tanti dubbi sulla sua collaborazione, era stato arrestato da poco. Giovanni Brusca mi tese la mano, io mi rifiutai di dargliela. Era il 1996. Venticinque anni dopo, invece, risponderei a quel saluto. Brusca è un uomo che ha avviato un percorso di ravvedimento. E non lo dico io, ma le tante persone che lo hanno seguito in questi anni». Franca Imbergamo, ex pm della procura di Palermo, oggi è il sostituto della procura nazionale antimafia che segue il “dossier Brusca”. Sul suo tavolo, arriva tutto quello che riguarda l’ex padrino di Cosa nostra diventato collaboratore di giustizia.
Che percorso ha fatto Brusca?
«Bisogna innanzitutto dire che ha lasciato il carcere perché ha finito di scontare le condanne che gli erano state inflitte dai giudici che si sono occupati di lui. In tutti i processi, sono state riconosciute a Brusca le speciali attenuanti previste per i collaboratori di giustizia che danno un contributo ritenuto attendibile e importante».
Dopo la sua scarcerazione, si sono però sollevate non poche polemiche, soprattutto da parte dei familiari delle vittime.
«Ho grande rispetto per il dolore dei familiari. Ma vorrei che non si dimenticasse che lo strumento dei collaboratori di giustizia ha consentito di assestare colpi determinanti alla Cosa nostra delle stragi, che è stata q uasi del tutto smantellata».
Anche Maria Falcone ha detto: “È doloroso, ma è la legge voluta da mio fratello, quindi va rispettata”. Però ha auspicato controlli da parte delle istituzioni per “scongiurare il pericolo che Brusca torni a delinquere”.
«La legge sui collaboratori può essere di sicuro migliorata, come sarebbe auspicabile il rafforzamento del servizio centrale di protezione, soprattutto per controllare i collaboratori di giustizia in libertà».
Cosa racconta il percorso fatto da Brusca in questi anni in cella?
«Io faccio il magistrato, non sono un sacerdote e non devo occuparmi della sua coscienza. Io devo leggere le relazioni fatte dagli operatori carcerari che hanno seguito il collaboratore: psicologi, assistenti sociali, insegnanti, cappellani. Tutti hanno scritto di un positivo percorso di ravvedimento fatto dall’ex mafioso di San Giuseppe Jato, un percorso valutato sulla base di atti concreti».
Per questo Brusca ha ottenuto anche permessi premio negli ultimi quattro anni?
«Le legge prevede che si valuti anche il comportamento nei processi: Giovanni Brusca non ha mai smesso di dare un contributo alla ricerca della verità. E nel corso dei permessi premio ha sempre rispettato le prescrizioni che gli erano state imposte dai giudici».
Oggi, anche alcuni mafiosi non collaboratori di giustizia invocano permessi premio perché dicono di essere dissociati. È il caso di Filippo Graviano.
«Non basta una dichiarazione di principio, bisogna contribuire concretamente a smantellare l’organizzazione mafiosa. Questo ha fatto Giovanni Brusca in questi anni, mai tirandosi indietro quando i magistrati delle varie procure lo hanno convocato per chiedergli di rendere dichiarazioni».
Negli anni a Palermo si occupò anche di un’altra figura particolarmente complessa di pentito: Balduccio Di Maggio, il mafioso che aveva fatto arrestare Riina e poi aveva parlato del bacio, smentito, fra Andreotti e il capo di Cosa nostra. A un certo punto, Di Maggio tornò in Sicilia per creare una nuova cosca. Come si smaschera un falso pentito?
«Il presupposto per una corretta applicazione della legge è una gestione severa dei collaboratori.
Così come ha insegnato Giovanni Falcone. Non bisogna pendere dalle labbra degli ex mafiosi, non bisogna fermarsi alle cose che vogliono dirti.
E poi vanno cercati i riscontri in maniera rigorosa. Balduccio Di Maggio lo cogliemmo quasi in flagranza di reato».
Ha mai avuto il sospetto che Brusca, collaboratore sempre ritenuto attendibile dai giudici, possa sapere ancora qualcosa che non ha detto?
«È possibile che sappia ancora qualcosa, non possiamo escluderlo.
Brusca è stato un capomafia di alto livello e molte cose sui mandanti delle stragi del 1992-1993 continuiamo a non saperle. Non escludo neanche che in futuro possa dirci quello che ancora sa. Una cosa però è certa: fino ad oggi, le dichiarazioni di Brusca sono state sufficientemente riscontrate».