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 2021  giugno 02 Mercoledì calendario

Baristi e scrittori, la seconda vita degli ex boss


Il killer di don Pino Puglisi, Salvatore Grigoli, reo confesso di quaranta omicidi, gestisce oggi un piccolo bar da qualche parte, nel Nord Italia. Santino Di Matteo, uno degli autori della strage di Capaci, è diventato invece il braccio destro di un sacerdote che guida una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Un altro degli assassini del giudice Falcone, Calogero Ganci, è tornato al suo vecchio mestiere: gestisce un macelleria-gastronomia nella località segreta dove vive con la famiglia.
Eccola, la seconda vita degli uomini delle mafie che hanno segnato una stagione drammatica della storia d’Italia. La seconda vita che Giovanni Brusca ha iniziato lunedì pomeriggio, lasciando il carcere di Rebibbia, dov’era entrato nel maggio 1996. Era l’ultimo dei grandi boss delle stragi diventati collaboratori di giustizia ancora dietro le sbarre.
Oggi, molti dei padrini di un tempo hanno anche cambiato identità. Sono un migliaio i pentiti che provengono da Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e Sacra corona unita (tanti ancora in carcere o ai domiciliari); 4.586 i loro familiari sotto protezione. Tutti vivono lontano dalle città di origine. Accanto, hanno la presenza discreta degli uomini del Servizio centrale di protezione. Qualcuno è ancora nel “programma” e percepisce circa 1.100 euro al mese. Unico beneficio, la casa. Altri, che non vengono più citati nei processi, hanno avuto la cosiddetta “capitalizzazione”, una sorta di buonuscita, e con quei soldi hanno aperto un’attività. Ma a non tutti è andata proprio bene.
Pasquale Galasso, il “Buscetta della camorra” che nel 1992 aprì la stagione delle grandi inchieste su boss e politici, aveva iniziato la sua seconda vita nelle vesti di imprenditore edile. Poi, però, un giorno, litigò in maniera pesante con un parcheggiatore e finì in carcere, gli vennero anche revocati i benefici previsti per i pentiti. Sanzione in seguito revocata dalla Cassazione, ma intanto la sua azienda era fallita. Ora, sta scontando una condanna a trent’anni ai domiciliari, mentre altri ex padrini della “Nuova famiglia” pure loro diventati collaboratori, Carmine Alfieri e Umberto Ammaturo, hanno già pagato il loro debito con la giustizia e sono tornati liberi, lontano dai riflettori.
Anna Carrino, a lungo compagna del padrino del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti detto “Cicciotto ‘e mezzanotte”, fa invece la cameriera in un albergo. Aveva iniziato a collaborare nel 2008 con il pm del pool anticamorra Antonello Ardituro, per vendetta i clan le ferirono in un agguato una nipote. Oggi, Anna Carrino ha una nuova identità, come Antonio Gerardi, killer reo confesso del clan camorristico Belforte di Caserta, che lavora in un supermercato.
Uomini e donne alla ricerca di una seconda vita dopo aver testimoniato contro i loro complici di un tempo. L’ex boss del rione Sanità Giuseppe Misso, ha deciso di fare lo scrittore: è l’autore di un libro autobiografico intitolato
I Leoni di Marmo e anche di un romanzo, Il chiarificatore.
«Senza i collaboratori di giustizia non sarebbero stati raggiunti i risultati importanti che sappiamo nella lotta alla mafia», dice l’avvocato Carlo Fabbri. «Ricordo il giorno del 1989 in cui il giudice Falcone mi chiese di assistere Francesco Marino Mannoia, dopo Buscetta il collaboratore più importante. Mi disse: “Lo so che la cosa può comportare dei pericoli, può anche dirmi di no”. Ma accettai. Come potevo dire di no? Lo strumento dei collaboratori di giustizia era fondamentale per l’azione del giudice Falcone. Oggi, invece, i collaboratori vengono visti quasi con fastidio». Però, continuano a essere determinanti per svelare i misteri delle mafie. Dice l’avvocatessa Monica Genovese, che assiste la famiglia del piccolo Di Matteo e alcuni fra i più importanti pentiti di Cosa nostra: «Ci sono segreti che nessuna intercettazione può cogliere, ecco perché è importante per la giustizia il contributo di chi si è mosso all’interno delle stanze più riservate dell’organizzazione. Però, troppo spesso, i collaboratori devono far fronte a tante difficoltà nella vita quotidiana: con l’assegno mensile pagano le utenze di casa, tutte le spese sanitarie più delicate e le spese per l’istruzione dei figli. Ad alcuni sono state detratte dall’assegno mensile anche le somme servite per ristrutturare abitazioni spesso fatiscenti».
Dice uno di questi collaboratori, che chiede di restare anonimo, è un ex killer di mafia: «Ci dipingono come uomini che si sono arricchiti. Non è vero. Piuttosto, continua a pendere sulla nostra testa la condanna a morte dei boss». Nel cuore di Chiaia, il quartiere chic di Napoli, su un muro una mano anonima ha scritto: “Pentiti e dissociati, sarete bruciati”. Stesso messaggio ha ribadito il neomelodico palermitano Daniele De Martino con una canzone finita al centro delle polemiche, “Sì nu pentito” è il titolo: «Pure fra 100 anni ti posso trovare», dice il finale.