la Repubblica, 2 giugno 2021
Il governo punta al +5% di Pil Gli ostacoli: aziende fragili e servizi che non decollano
ROMA – Ripartire dai distretti industriali. Non è casuale la scelta del premier Mario Draghi di aprire la «fase nuova», non solo economica – come ha detto –, dal distretto della ceramica di Spezzano di Fiorano nel modenese. Perché nei distretti si conserva ancora la forza del manifatturiero italiano. Dati per morti con la globalizzazione, hanno saputo reinventarsi, adattarsi al cambiamento, amalgamarsi di nuovo e reimporsi sui mercati. Così l’Italia, quasi priva di grandi imprese, al contrario di Francia e Germania, compete perlopiù grazie alle piccole e medie aziende, innovative e integrate nelle catene mondiali del valore. Il cuore del Made in Italy è questo. Nel 2021 il fatturato dei distretti industriali – secondo il tradizionale rapporto di Intesa SanPaolo – dovrebbe aumentare di quasi il 12%.
Ripartire dai distretti vuol dire ripartire dall’industria. Per puntare a un obiettivo di crescita del Pil per quest’anno di oltre il 5%, stando alle prime stime dei tecnici del governo. Sarà, insomma, ancora il manifatturiero che ci tirerà fuori da questa profonda recessione provocata dal Covid-19. È il messaggio implicito nella scelta di Draghi. Sì, certo, nelle prossime settimane, il presidente del Consiglio visiterà altri luoghi e altri aree economiche per dare altri segnali di ritorno alla normalità, ma ha voluto che tutto iniziasse da quel particolare modello di “capitalismo ben temperato”, detta con Romano Prodi, che proprio ai distretti ha dedicato molta parte della sua ricerca scientifica, nel quale i profitti convivono con il rispetto di chi lavora. «Oggi – ha detto Draghi – siamo in un luogo di lavoro, di produzione, di successo. È da qui che vogliamo partire per entrare insieme in questa stagione di ripresa e renderla duratura e sostenibile».
Ma l’industria italiana non è tutta uguale. Non tutta è stata capace di tenere il passo con i mutamenti della domanda mondiale e con l’impatto delle nuove tecnologie. La parte più dinamica e moderna dell’industria (circa il 25%) dovrebbe trainare la ripresa, ma almeno un altro 25% è in bilico, e rischia di cadere nel burrone. Lo ha spiegato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle Considerazioni finali che ha letto lunedì scorso: «Anche se l’Italia può contare su un segmento in crescita di imprese dinamiche e innovative persistono gli elementi di fragilità del tessuto produttivo. Il numero di microimprese con livelli di produttività modesti rimane estremamente elevato, mentre è ridotta la presenza di aziende medio-grandi, che pure hanno un’efficienza comparabile a quella delle maggiori economie a noi vicine.
Nei servizi non finanziari – ancora Visco – le imprese con meno di 10 dipendenti impiegano quasi il 50 per cento degli addetti, il doppio che in Francia e in Germania. La specializzazione in attività tradizionali e la piccola dimensione riducono la domanda di lavoro qualificato, generando un circolo vizioso di bassi salari e modeste opportunità di impiego che scoraggiano gli stessi investimenti in istruzione».
Analisi talmente condivisa da Draghi che il gov erno ha prorogato il blocco dei licenziamenti per le imprese che non hanno a disposizione la cassa integrazione ordinaria fino al mese di ottobre. Sono, appunto, le imprese dei servizi, di un terziario che è rimasto indietro e continua ad offrire anche lavoro di bassa qualità. Prendiamo la filiera del turismo. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat sulla competitività dei settori produttivi, il 27% delle imprese dei settori legati al turismo «non è ancora riuscito a pianificare strategie di reazione alla crisi. Poco più di un quinto ha invece reagito diversificando l’attività, fornendo nuovi servizi o creando partnership con altre imprese, nazionali o estere». Le riaperture faranno ovviamente bene alla prossima stagione estiva, ma poi il settore dovrà fare i conti con i ritardi accumulati. Il Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza) destina agli investimenti digitali poco meno del 30 per cento delle risorse. I settori che più se ne avvantaggeranno nel prossimo quinquennio (2021-2025) saranno quelli dell’elettronica, della meccanica, degli autoveicoli (ieri nuovo dato ancora negativo per il mercato dell’auto: – 27,9 per cento rispetto al 2019), dell’elettrotecnica. Il rapporto di maggio si Prometeia-Intesa Sanpaolo sui settori industriali vede in crescita nello stesso periodo anche le costruzioni, i mobili, gli elettrodomestici. Ci si aspetta un rimbalzo pure dal settore moda, uno dei grandi malati a causa della pandemia, con un crollo del fatturato nel 2020 di oltre il 20 per cento. Nei prossimi cinque anni potrebbe crescere intorno al 5 per cento. Ma per fronteggiare la crisi attuale, nonostante i primi segnali positivi per la domanda cinese e americana, e per uscire dal possibile scontro sui licenziamenti, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sta ragionando su una specifica proroga del blocco dei licenziamenti specifico per la filiera della moda. La Confindustria ci starebbe, i sindacati temono gli interventi selettivi. Ma con la ripresa il governo vuole anche chiudere la stagione delle misure uguali per tutti.