La Stampa, 2 giugno 2021
Intervista a Giovanni Malagò
roma«Se potessi, alle Olimpiadi vorrei gareggiare nei 400 ostacoli. Ero un grande tifoso di Edwin Moses e l’idea di correre veloce e saltare contemporaneamente una barriera mi esalta». Metafora perfetta. Perché passione o no, la strada verso i Giochi resta una corsa ad ostacoli, sono giorni che l’Inno di Mameli scelto da Giovanni Malagò come suoneria del cellulare è gettonatissimo. Appena rieletto per il terzo e ultimo mandato consecutivo, il presidente del Coni culla la spedizione degli atleti e la aggiorna in tempo reale: nel 2016 a Rio gli azzurri erano 314, ora siamo a 293 qualificati, 151 uomini e 142 donne. A Tokyo si punta a quota 330, complici le 5 nuove discipline olimpiche e l’inedita presenza di tutte le gare a squadre nella scherma.Presidente, 51 giorni ai Giochi. A che punto è l’Italia?«Gli atleti sono carichi di entusiasmo. Poi ognuno ha la propria storia: logico che Tamberi, con tutto quello che ha passato prima di Rio, abbia un approccio diverso per esempio da Iapichino e Pilato. Beata innocenza e spregiudicatezza, come se non sapessero a che cosa vanno incontro. Può essere anche la loro forza».A Rio l’Italia ha chiuso con 28 medaglie (8-12-8). Le stime su Tokyo ce ne assegnano 33 (8-10-15), una bella responsabilità. È una spedizione più forte delle altre?«Decisamente sì, abbiamo lavorato bene nelle nuove discipline. Con un vantaggio e uno svantaggio».Partiamo dal secondo?«Non abbiamo una medaglia d’oro sicura, l’atleta per cui la gara sarà una formalità»E il vantaggio?«Le tante frecce nel nostro arco».Ne scelga tre.«Paltrinieri per il suo percorso in piscina e nelle acque libere. Chamizo nella lotta e le squadre di pallavolo maschile e femminile. Oltre alla conferma sia dal tiro a segno sia dall’arco».E il granaio della scherma?«La scherma è un paradosso. Per il nostro standard, qualsiasi numero di medaglie che porti a casa sembra sempre poco. Per anni siamo stati penalizzati dall’esclusione a rotazione delle squadre, con il cambio di regolamento a Tokyo saremo in pedana in tutte le armi. Non un dettaglio da poco».Metta un po’ di pressione: da quali discipline deve invece arrivare una medaglia?«Visto come le abbiamo sfiorate a Rio, lo faccio con la vela. Poi devo metterla all’atletica, medaglie pesanti dal valore diverso. E poi al tennis: siamo molto competitivi, sarebbe ora di vincere qualcosa. Non accade dal ’28 con De Morpurgo».Federica Pellegrini farà un’Olimpiade a sé?«La sento tutti i giorni, a 33 anni sarà la sua quinta volta ai Giochi. L’impresa è già questa. Andrà sul podio? Con lei può succedere di tutto, sicuramente venderà cara la pelle».In Giappone però continuano ad essere contrari all’Olimpiade. Giusto imporla?«Non vado contro il sondaggio, ma critico la domanda. Se mi chiedono di rinviare i Giochi di sei mesi per la sicurezza, anche io risponderei di sì. Ma se specifichi che senza i Giochi, il tuo paese perderà un sacco di soldi, anche i giapponesi darebbero un’altra risposta».Presidente, ha mai pensato di non essere rieletto?«No. E la forza della concorrenza non c’entra».Questa sicurezza allora?«Deriva dal fatto che i miei rivali rappresentassero chi in questo ultimo anno e mezzo aveva messo a repentaglio la natura del Coni, ridimensionandola. Quindi, perché le altre federazioni avrebbero dovuto votare loro e non me che invece ho lavorato per difendere la nostra autonomia?».Come si riaggiustano i rapporti con Barelli e Binaghi, i presidenti di nuoto e tennis, i due grandi nemici.«Da un punto di vista istituzionale c’è la massima collaborazione. Da un punto di vista personale mi lasci dire che sono persone che hanno lavorato più pro domo loro che per il Coni. E mi fermo qui».Per Petrucci, numero 1 del basket, Coni e Sport e Salute a lungo dovranno dividersi. Finirà così?«Ha ragione. La legge è chiara, siamo due entità separate e non abbiamo più nulla a che fare l’una con l’altra. Possiamo collaborare, ma non siamo più obbligati a farlo».Ma Giovanni Malagò è capace di riconoscere un proprio errore?«Aver dato fiducia a chi poi mi ha tradito. La finanza e la politica sono popolate da persone abituate a cambiare casacche e idee: lo sport pensavo fosse diverso, ma l’intervento della politica ha fatto suonare delle sirene. Chi era uomo di sport ha resistito, altri invece pensavano che la politica avrebbe vinto 6-0 6-0 e che avrebbero potuto trarne giovamento. Mi sono fidato di loro e ho sbagliato».Ha definito Valentina Vezzali un cobra quando era in pedana e un gatto quando non gareggiava. E ora che è sottosegretario allo sport?«Una della nostra famiglia. Visto il contesto storico tra riforma dello sport e pandemia, non avrà un compito facile. L’ho detto anche a lei».L’11 giugno ci sarà Italia-Turchia: quanto servirebbe un buon Europeo?«Farebbe benissimo a tutti. Con tutto il rispetto per le altre, quella del calcio è la Nazionale. Nessuno ha lo stesso effetto trainante».Il basket invece rischia di stare ancora fuori dai Giochi«Impresa durissima, ma come diciamo a Roma, se po’ fa’».Che cosa pensa del progetto Super Lega?«È quanto di più lontano dal mio concetto di sport, un tentativo maldestro. Il calcio, però, ha un deficit strutturale che non ha risolto e che non curi con l’aspirina».A Tokyo Giovanni Malagò sarà contento se?«Se saremo riusciti a caricare il Paese di entusiasmo. Faremo meglio rispetto a Rio, ma è giusto ricordare che le graduatorie del Cio sul valore sportivo di un Paese passano dal numero di piazzamenti tra i primi otto di ogni gara e non dalle medaglie». Vero, ma le bandiere per un settimo posto non hanno mai sventolato. Dovremo ricordarci anche di questo. —