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 2021  giugno 02 Mercoledì calendario

In morte di Amedeo di Savoia

Vittorio Sabadin, La Stampa
Nel 75° anniversario della cacciata dei suoi parenti dal trono d’Italia è morto Amedeo di Savoia, duca d’Aosta. L’anniversario del 2 giugno lo aveva battezzato «Il giorno della nostra cassa integrazione»: lo seguiva sempre in tv, gli piacevano le parate militari. Amedeo era nato il 27 settembre 1943, tre settimane dopo l’armistizio dell’8 settembre. Era figlio di Aimone di Savoia Aosta, un ammiraglio che aveva servito in due guerre mondiali, e di Irene di Grecia, seconda figlia di re Costantino. La madre era a Villa Cisterna, la residenza di famiglia a Firenze, quando gli Alleati sganciarono alcune bombe. Mentre correvano tutti in cantina una contadina scivolò e la fece cadere dalle scale: Amedeo nacque prematuro, con un mese di anticipo. Quando, dopo un anno,pronunciò le prime parole, erano in francese.
Hitler avrebbe voluto insediarlo subito come re della Repubblica di Salò per fare in modo che l’Italia avesse un re del Nord come lo aveva del Sud, dopo la fuga da Roma di Vittorio Emanuele III. Ma la principessa Irene si era opposta con tutte le sue forze: «Dovrete passare sul mio cadavere – fece sapere – prima che mio figlio diventi re. C’è già un re, ed è pure un nostro parente».
La madre fece prendere le impronte digitali al bambino, per timore che lo rapissero. Amedeo le aveva conservate, ma non ha voluto mai controllare se corrispondessero alle sue. Avrebbe dovuto anche diventare re di Croazia succedendo al padre, messo sul trono dal Führer e da Mussolini. Aimone preferiva però la vita in mare e a Zagabria non andò mai. Meglio così: come successore, Amedeo avrebbe assunto per legge il buffo nome di Zvonimiro, e sai poi le prese in giro in Toscana.
Aveva otto mesi quando, per ordine di Heinrich Himmler, venne trasferito con la madre e le cugine vicino al campo di concentramento di Hirshegg, in Austria. «Eravamo ostaggi – ha raccontato – Non ci trattarono male come tutti gli altri, ma non certamente bene. Vivevamo in una casa a 1400 metri di altitudine. Mangiavamo solo rape. Nevicava tutto l’inverno ed eravamo senza riscaldamento». C’era un ordine di fucilazione con i loro nomi, ma senza data. Quando aggiunsero la data, l’ufficio postale venne bombardato e l’ordine non giunse mai. Li salvarono poi i soldati di De Gaulle, arrivati con gli americani.
Se nel 1946 gli italiani avessero scelto la monarchia e non la repubblica, Amedeo sarebbe diventato re. Vittorio Emanuele, figlio dell’ultimo sovrano, Umberto II, ha infatti sposato Marina Doria senza chiedere il permesso al padre, perdendo così, secondo molti esperti chiamati a dirimere la questione, il diritto al titolo e all’eredità. Ma Vittorio Emanuele non è d’accordo, e gli scontri con il cugino Amedeo hanno riempito per anni molte pagine dei settimanali. Al matrimonio di Felipe di Spagna con Letizia, nel 2004, si era fatto di tutto per tenerli separati. Ma al momento di aspettare le auto, Amedeo si era avvicinato tendendo la mano e il collerico Vittorio Emanuele aveva risposto sferrandogli a freddo un pugno sul naso. Vittorio lo aveva anche denunciato, intimandogli di non usare il cognome Savoia e minacciando di chiamare i suoi maiali Savoia-Aosta.
Amedeo aveva sedici tatuaggi e progettava di farsene altri. Parlava a voce alta, roboante, da ufficiale di marina. Viveva in una casa di campagna nella tenuta del Borro, vicino ad Arezzo. Custodiva decine di ricordi: la spada di Vittorio Emanuele II, una bandiera regalata dal cugino re Juan Carlos, altre memorabilia di parenti come lo zar Nicola II, Cristiano IX di Danimarca, o la trisnonna Vittoria del Regno Unito. Era il capo riconosciuto di casa Savoia e si batteva da anni per riabilitarne la memoria: «Le leggi razziali – diceva – e la dichiarazione di guerra sono punti negativi. Ma il re era colpevole come la maggioranza degli italiani, e non era fascista. Nessuno ricorda mai che la famiglia reale ha avuto dieci prigionieri di guerra e due vittime: mio zio Amedeo e Mafalda di Savoia, morta nel campo di Buchenwald».
Aveva fatto quasi il giro del mondo in continui viaggi da solo o con la seconda moglie, Silvia Paternò di Spedalotto: gli mancava solo il Polo Sud. Progettava di imbarcarsi su una nave di Greenpeace per contribuire ancora alla causa ecologista e difendere le balene. È morto in ospedale per le complicazioni di un intervento a un rene che sembrava riuscito. Lascia tre figlie, una avuta da una relazione extraconiugale, e l’erede Aimone, nuovo duca di Savoia e nuovo Capo della Real Casa. Di tutti i parenti che aveva nei palazzi reali europei, apprezzava in modo particolare la regina Elisabetta, sua lontana cugina. A 10 anni era andato alla sua incoronazione ed era sempre invitato a nozze, funerali e ricevimenti dei Windsor. Raccontava di avere scritto spesso ai presidenti del Consiglio italiani e che nessuno aveva mai risposto. Elisabetta, invece, gli rispondeva sempre in 24 ore.

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Francesco Musolino, Il Messaggero

Se quel fatidico 2 giugno del 1946 avesse trionfato la monarchia, Amedeo di Savoia duca d’Aosta sarebbe stato il re d’Italia. Almeno, stando alla pronuncia della Consulta dei Senatori del Regno, chiamata in causa da Umberto II. Una contesa (tutta virtuale) che si è conclusa ieri, con la scomparsa del duca d’Aosta all’età di 77 anni, stroncato da un infarto all’ospedale San Donato di Arezzo. Nato il 27 settembre del ’43 a Castiglion Fibocchi - vicino a Firenze, al tempo occupata dai nazisti - nella sua ultima intervista, inedita, rilasciata pochi giorni fa all’AdnKronos dal letto d’ospedale, disse: «La Festa della Repubblica non l’ho mai vissuta in polemica, non è mai per me un giorno di lutto» e se i risultati del referendum «non furono molto chiari e si parlò addirittura di truffa», ora affermava di riconoscersi nella Repubblica «anche se c’è sempre una grande propaganda nei giorni immediatamente precedenti ai festeggiamenti del 2 giugno».
LE IMPRONTE DIGITALI
Figlio unico di Irene di Grecia e di Aimone di Savoia, pronipote della regina Vittoria del Regno Unito e di re Cristiano IX di Danimarca, «Amedeo D’Aosta venne partorito sotto una pioggia di bombe alleate su Villa Cisterna, nei pressi di Firenze e alla nascita la madre gli fece prendere le impronte digitali dal questore di Firenze, temendo un rapimento» - afferma lo storico torinese Gianni Oliva, autore di saggi, fra cui I Savoia. Novecento anni di dinastia e La bella morte (editi da Mondadori) poi, a soli nove mesi, i nazisti lo deportarono nel campo di concentramento austriaco di Hirschegg. Sposò la principessa Claudia d’Orléans il 22 luglio 1964 (i testimoni erano re Juan Carlos di Spagna e Umberto II d’Italia) ma successivamente, l’unione dal quale nacquero Bianca, Mafalda e Aimone (Ginevra è nata dalla relazione con la regista olandese, Kyara van Ellinkhuizen) naufragò e venne annullata dalla Sacra Rota e il 30 marzo 1987 fu la volta di Silvia Paternò Ventimiglia di Spedalotto.
IL PRONUNCIAMENTO
Dagli anni ’70 cambiò vita, dedicandosi all’attività di imprenditore agricolo, dirigendo la tenuta del Borro, nei pressi di Arezzo (poi ceduta alla famiglia fiorentina dei Ferragamo); come detto, la disputa dinastica che lo contrappose al cugino Vittorio Emanuele di Savoia, si è risolta il 7 luglio 2006 con il pronunciamento dalla Consulta dei Senatori del Regno (un’associazione privata senza fini di lucro), decretando che il duca d’Aosta doveva essere considerato l’erede di Umberto II. «Amedeo d’Aosta era una figura regale, un uomo garbato e pensoso», afferma Aldo Alessandro Mola, presidente della Consulta dei Senatori del Regno. E riguardo alla pronuncia, chiarisce: «Umberto II aveva avvertito suo figlio, Vittorio Emanuele di Savoia, che se avesse sposato Marina Doria senza l’assenso della casa reale, avrebbe perduto il diritto alla successione. La regola del consenso era palese, espressa in molte lettere dal padre eppure fu ignorata».
IL CORDOGLIO
Dal ritratto emerge certamente un certo stile lontano dalle etichette formali, confermato da Oliva: «Amedeo d’Aosta era un tipo borderline, lontanissimo da quell’idea di regalità monarchica cui siamo abituati. Era un uomo di mondo che non rimpiangeva il passato». Anche il mondo della politica ha espresso il suo vivo cordoglio - fra questi Antonio Tajani ed Enrico Aimi di Forza Italia - Alessandro Sacchi, presidente dell’Unione Monarchica Italiana («Sarebbe stato un bel capo di Stato, peccato che gli italiani non l’abbiano potuto sperimentare») e infine, il principe Guglielmo Giovanelli Marconi: «Era sempre molto affettuoso, un gran signore, un vero uomo di mare».

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Michele Masneri, Il Foglio
Mentre tutti si struggono per le monarchie operative, e piangono retroattivamente per Diana e le sue interviste forse estorte, nessuno pensa mai ai poveri reali senza regno, che fanno una vita spesso d’inferno. E’ morto ieri Amedeo d’Aosta, capo del ramo che da qualche anno si considerava il vero, the original, erede al trono d’Italia (che non c’è). Le monarchie senza regno sono peggio delle correnti del Pd: meno roba c’è da spartire e più litigano e si moltiplicano. Il “The crown” nostrano vuole infatti che l’ultimo re d’Italia, Umberto II, non avesse dato l’assenso alle nozze dell’erede Vittorio Emanuele con la borghese Marina Doria, e dunque che quel ramo decadesse. Questa la teoria degli altri, gli Aosta; ma i Savoia risposero: in esilio ci eravamo noi, però, mica voi (e in effetti). Seguono lotte legali, a volte anche fisiche. Diatribe su etichette di vino, scazzottate. Amedeo, tutt’altra storia, era una specie di lord Mountbatten della saga, rappresentante del ramo “per bene” (gli Aosta son sempre stati eroi di guerra, finivano in campi di concentramento, erano belli e svegli tanto quanto i Savoia non ne azzeccavano una). Due format paralleli, perfetti per un “The crown” italiano. Amedeo e il suo spinoff, gli Aosta appunto, avevano scelto un format completamente diverso rispetto a quei cugini Kardashian, con villa a Ginevra dalle moquette alte un metro, elicotteri, galere, smargiassate. Amedeo aveva puntato sul format più tradizionale del nobile di campagna. E, pur senza trono, e pure del ramo sbagliato, o forse proprio per questo, faceva cose da monarca. Intanto impalmare non campionesse di sci nautico ma teste almeno ducali. Aveva sposato Claudia d’Orleans, figlia del pretendente al trono (inesistente) di Francia, e poi, a matrimonio annullato (perché i re annullano, mica divorziano come noi) aveva scelto un’altra nobildonna, di sangue non regale ma pazienza, Silvia Paternò di Spedalotto. Pure i suoi figli si sono attenuti alla regola. Alla tenuta toscana del Borro (poi venduta ai Ferragamo) si svolse lo sposalizio dell’infanta Bianca di Savoia-Aosta col conte Giberto Arrivabene Gonzaga ecc. ecc. mentre l’aspirante erede – al trono che non c’è – si chiama addirittura Aimone, con questo nome già che fa paura, serissimo, religiosissimo, fa il rappresentante della Pirelli a Mosca. Ma prima apprendistato che manco Carlo d’Inghilterra: collegio navale Morosini, combattente nella Guerra del Golfo, ecc. Lui ha sposato un’altra testa coronatissima, Olga di Grecia, sua lontana cugina, e cugina naturalmente anche dei Windsor per quelle parentele greche che abbiamo imparato a conoscere col “The Crown” però originale. Il matrimonio, in un santuario sperduto greco, era stato una summa di semplicità “more nobilium”, con la sposa acconciata di coroncina di spighe di grano, altro che i diademi dei cugini Savoia. Lì i matrimoni erano stati sempre molto sciamannati: prima Marina Doria, poi l’attrice un po’ de quarta Clotilde Coureau andata in sposa a Emanuele Filiberto, che ancora non ha trovato la sua strada, tra “Ballando con le stelle” e la catena di pizza e pastasciutta “Prince of Venice” fondata a Los Angeles. Ultimamente i Savoia-Kardashian hanno annunciato tramite New York Times che faranno una riforma della monarchia (che non c’è) per permettere alla loro figlia di andar sul trono: lei si chiama Vittoria di Savoia, abita a Parigi, non parla una parola di italiano, alligna su Instagram in posa tipo morosa di rapper. Il cugino Aimone ha subito tuonato che tutto ciò è inammissibile. La saga anzi la serie continua (unico cedimento all’etichetta principesca, per il povero Amedeo, una relazione extraconiugale e relativa produzione di un’erede naturale mostruosamente titolata, cui fu imposto un nome di devastante signorilità: Ginevra Maria Gabriella van Ellinkhuizen di Savoia-Aosta).