La Stampa, 2 giugno 2021
Come eravamo
Ogni tanto penso che Voltaire a molti dei suoi contemporanei dovesse sembrare un perfetto imbecille. Diceva (un paio di secoli e mezzo fa) che gli uomini erano tutti uguali, che un popolo non è libero se non gli è permesso di mettere per iscritto ciò che pensa e qualsiasi cosa pensi, che in democrazia regna la discordia e il disordine ma non ci sono né Notti di San Bartolomeo né Inquisizioni, che la libertà di un paese si deduce soprattutto da quanto i giornali sono differenti e in contraddizione fra loro, che talvolta si è più criminali di quanto si pensi, che è meglio assolvere un colpevole di condannare un innocente, che spesso i giudici si comportano da nemici degli imputati, che la patria è laddove si vive felici e l’identità non è nel sangue ma nella memoria. Una serie di lampanti verità, tuttavia ancora oggi inespugnabili per tre quarti dei tribuni di internet, figuriamoci nell’Europa del Settecento. Però poi Voltaire diceva anche cose al tempo comprensibili e condivisibili dalla maggioranza, così entusiasmanti perché così incontestabili. Leggete qui: «La membrana mucosa dei negri è una prova evidente che in ogni specie di uomini, come nelle piante, vi è un principio che li differenzia. La natura ha subordinato a tale principio i diversi gradi d’intelligenza. È per questo che i negri sono gli schiavi degli altri uomini». Ora verrà una voglia matta di maledire e cancellare questo passaggio dall’opera di Voltaire, secondo le regole più recenti dell’elevazione dell’animo, ma si finirebbe non con il mutilare il filosofo, ma col nascondere a noi stessi quello che pensavamo e quello che eravamo.