La Stampa, 2 giugno 2021
La pattuglia di madri costituenti
Le donne hanno avuto il diritto di voto per la prima volta nel referendum su Monarchia e Repubblica. Nonostante le preoccupazioni di molti repubblicani sul voto «conservatore» di cittadine tenute fino ad allora fuori da ogni decisione sulla cosa pubblica, la repubblica passò, quindi, anche grazie al loro voto, così come la Resistenza aveva potuto contare sull’appoggio e la partecipazione attiva di molte donne. Anche la Costituzione porta il loro segno.
L’esigua pattuglia di «madri costituenti» (21 su 556), composta da giovani donne molto determinate e preparate, riuscì non solo a far dichiarare la parità tra uomini e donne su tutti i punti in cui fino a quel momento era stata negata anche per legge – la famiglia, il lavoro, la partecipazione politica. Fece approvare come costituzionalmente fondate sia la parità salariale sia le misure di protezione della maternità, in generale e specificamente per le madri lavoratrici. Riuscì pure a far passare il principio di uguaglianza tra figli a prescindere dallo status legale dei genitori, anche se sarebbe stato definitivamente acquisito solo diversi decenni dopo: la piena equiparazione tra figli cosiddetti naturali (un tempo persino definiti illegittimi) e legittimi, aperta dall’articolo 30 della Costituzione, avrebbe trovato piena attuazione solo nel 2012. E tutt’ora ne sono esclusi i figli delle coppie dello stesso sesso.
Anche la piena uguaglianza giuridica tra coniugi dovette aspettare la riforma del diritto di famiglia del 1975 per essere pienamente attuata almeno sul piano legislativo, superando quel caveat «con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» che, nell’articolo 29 della Costituzione, le poneva un limite, di fatto a svantaggio delle donne. La salvaguardia della famiglia (legittima) è stato a lungo un ostacolo alla piena accettazione dell’uguaglianza e libertà delle donne, così come lo è stato per il riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori del matrimonio.
Altri articoli di cui siamo debitrici anche, se non soprattutto, alla determinazione di quel piccolo gruppo di donne costituenti aspettano ancora di essere pienamente realizzati. Mi riferisco articolo 37, sulla parità salariale e la protezione della maternità. Al permanere di disparità di remunerazioni a parità di mansioni si accompagna la disparità di opportunità di riconoscimento delle competenze nelle assunzioni e nelle progressioni di carriera. E «l’adeguata protezione della madre e del bambino» non è di fatto accessibile, o lo è in modo molto parziale, a molte lavoratrici, o è causa di discriminazioni.
La formulazione «essenziale funzione familiare» della donna, utilizzata nell’articolo, inoltre, a lungo ha giustificato e spesso tuttora giustifica una divisione delle responsabilità di cura e domestiche tra uomini e donne, padri e madri, che svantaggia sicuramente le donne sul piano del lavoro ed economico, ma anche non riconosce agli uomini nessun, non solo dovere, ma anche diritto a un tempo per la famiglia e per le cure familiari.
C’è voluto un profondo mutamento culturale perché anche per gli uomini emergesse una «essenziale funzione familiare» non legata esclusivamente al procacciamento di un reddito. Anche la parità di accesso negli uffici e cariche pubbliche (art. 51) è lungi dall’essere pienamente realizzata, specie quando si tratta di posizioni apicali. E solo nelle ultime legislature la parità nell’elettorato passivo è stata progressivamente avvicinata, anche a seguito di una modifica costituzionale.
Accanto agli articoli della Costituzione che parlano esplicitamente di parità e uguaglianza tra uomini e donne ce n’è un altro che ha una funzione fondamentale anche a questo riguardo. Si tratta dell’articolo 3, seconda parte: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Non si tratta solo di stabilire un’uguaglianza formale, occorre anche mettere in opera tutti gli strumenti e le azioni necessarie perché essa possa diventare sostanziale. —