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 2021  giugno 02 Mercoledì calendario

Intervista a Luciana Castellina


«Mia nonna era preoccupatissima: si alzò all’alba e si mise in attesa. Voleva essere la prima ad arrivare al seggio elettorale e anche in famiglia c’era una grande agitazione». Luciana Castellina, classe 1929, tra le più note politiche italiane con un importante curriculum che l’ha portata a sedere sugli scranni dei parlamenti italiano ed europeo, ricorda l’atmosfera rarefatta e ansiosa del 2 giugno 1946.
Settantacinque anni fa gli italiani furono chiamati al referendum per la scelta tra Monarchia e Repubblica e per eleggere i deputati dell’Assemblea costituente. La futura scrittrice e giornalista aveva 17 anni e coltivava già quella inclinazione che la porterà a essere una «militante doc», animatrice di scontri dai banchi dell’opposizione e pure nelle piazze. Fin da giovanissima fu schierata in difesa della Repubblica e della Costituzione, con una passione che durerà per tutta la vita. Nel 2006, per ostacolare il referendum promosso da Silvio Berlusconi per cambiare la Carta, si impegnò in una battaglia: suggerì alla direzione del premio Strega (a cui quell’anno concorreva con il libro La scoperta del mondo) di incoronare con un riconoscimento speciale i «sacri testi» costituzionali, che, ristampati, furono letti ovunque, dalle scuole ai talkshow televisivi. «Finalmente i cittadini presero confidenza con quel decalogo che in molti ignoravano».
Castellina, dopo tanti lustri da quello storico «sì» alla Repubblica, è possibile fare un bilancio? Cosa si aspettavano allora gli italiani?
«Si respirava un’aria densa di attese per tutto ciò che il fascismo aveva negato, la libertà, la democrazia, la solidarietà, l’eliminazione delle diseguaglianze. Andai in piazza del Quirinale pochi giorni prima della partenza dall’Italia di Umberto II, il 13 giugno 1946. Tra la folla non c’era alcun rimpianto. La Monarchia si era fatta odiare ancor prima della fuga dei Reali da Roma il 9 settembre 1943. A corte i Savoia parlavano francese. Garibaldi, che amava il popolo italiano, non li sopportava».
La vittoria della Repubblica portò subito dei vantaggi?
«Mise il vento in poppa alle istituzioni democratiche: il Pci, a cui mi iscrissi nel 1947, diventò un partito di massa. Jean-Paul Sartre, durante uno dei suoi soggiorni italiani, mi disse: “Ho capito cosa è veramente il Pci. È l’Italia”. Il partito di Togliatti incarnava l’orgoglio degli operai, degli emarginati, delle prostitute, del Meridione».
Il connubio tra Repubblica e democrazia ha vissuto crisi?
«Di frequente è stato violato l’articolo 21 della Costituzione, “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Finii dietro le sbarre la prima volta nel 1948, quando scesi in piazza dopo l’attentato a Togliatti. In seguito venni imprigionata più volte perfino per aver distribuito volantini. Altro che Costituzione! La polizia obbediva al fascista codice Rocco. Però i nostri pilastri repubblicani ci rendevano orgogliosi. Nel 1957, durante i negoziati per i Trattati di Roma, atto di nascita della famiglia europea, furono sollevate obiezioni alla presenza italiana per via dell’articolo 42 della Carta che pone limiti alla proprietà privata. La Repubblica era considerata troppo di sinistra».
Quali sono stati i Presidenti più rispettosi della Costituzione e quali meno?
«Oscar Luigi Scalfaro l’ho ammirato molto. Firmò un appello contro la guerra in Iraq richiamandosi all’articolo 11 della Costituzione. Antonio Segni invece è stato un pessimo custode delle libertà quando nel 1963 si congratulò con la polizia per il mio arresto insieme con un gruppo di edili».
Ha mai temuto che l’Italia potesse perdere la libertà conquistata con la Repubblica?
«Dopo le stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia, dopo la scoperta delle trame di Gladio, quando tra i compagni si sussurrava “non dormite a casa, potrebbe esserci il colpo di Stato"».
Gli anni d’oro nell’applicazione dei principi costituzionali?
«I decenni Sessanta e Settanta, con le riforme della scuola, della salute, del lavoro, dell’ambiente a cui si aggiunsero il divorzio e l’aborto. Poi nel 1973 nacque la Commissione Trilaterale, associazione internazionale che rappresentava la destra moderna. I veri governanti dell’Italia diventarono il capitale finanziario, i consigli di amministrazione delle banche e delle grandi aziende. La Costituzione non si realizza con la cosiddetta governance o con i governissimi ma innescando lotte sociali per una maggiore democrazia».
Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha detto che la nostra è una democrazia malata. Sono state tradite le speranze di quel radioso 2 giugno?
«Abbiamo lasciato deperire la Costituzione. Ma attualmente le donne sono alla testa di una rivoluzione che si batte contro questa deriva. Cruenta, purtroppo. I femminicidi si spiegano anche con la volontà di far tacere le richieste femminili di una nuova libertà e indipendenza. Le donne si ribellano sia individualmente sia con movimenti come il #MeToo». —