Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 01 Martedì calendario

Intervista a Elio

«Sono un timido. Mai avrei avuto il coraggio di dirgli “sono un tuo fan”.
Una volta ci siamo incrociati negli studi Rai. Lui ha bofonchiato qualcosa, io pure, lui non ha capito, io nemmeno. Questo è il solo contatto che ho avuto con Enzo Jannacci».
Elio, di Elio le Storie Tese (Elst), è del 1961, troppo giovane per la Milano degli anni 60-70, allegra e irrequieta, in cui regnavano Jannacci e Fo, i Gufi e Cochi e Renato. Ma a quella genìa di formidabili artisti si sente legato: stesso modo di raccontare lietamente le bruttezze, stesso sorriso iconoclasta. Col piacere di rispecchiarvisi, prepara uno spettacolo su Jannacci: non un omaggio ma «una ricostruzione di quel suo mondo di nonsense, comico e struggente», spiega Elio, aria eterna da ragazzo.
Lo spettacolo, dal 18 a Pesaro al Parco Miralfiore, poi – tra le tante tappe – a Como il 15 luglio, a Vercelli il 17, il 31 a Cervia, con cinque giovani musicisti sarà stile teatro-canzone, con una quindicina di cult jannaceschi, vari mashup arrangiati da Paolo Silvestri e monologhi, scelti per assonanza, di Michele Serra, Francesco Piccolo, Umberto Eco, Beppe Viola. «Un varietà dell’anima» lo definisce il regista Giorgio Gallione, lo stesso di Il grigio, altro spettacolo di Elio che riprenderà a novembre, altra perlustrazione dei propri confini biografici-artistici, lì con Gaber, ora con Jannacci. Il titolo la dice lunga: Ci vuole orecchio, come l’album, tra i più venduti di Enzo, prodotto da Agidì come lo spettacolo di oggi e datato 1980, l’anno di nascita di Elio e le storie Tese.
Vogliono dire qualcosa queste coincidenze?
«In verità non ho certezza che il 1980 sia la nascita di Elst, bisognava scrivere una data ed è venuta fuori quella. Una curiosità c’è: mio papà era stato compagno di classe di Jannacci, me ne parlava, me lo faceva ascoltare e mi faceva già ridere. Da adulto mi ha affascinato la dignità del comico che ha portato nella canzone d’autore e lo stile surreale della sua risata, che poi era il clima del Derby, il cabaret di Milano, che sempre per ragioni anagrafiche ho mancato».
Rimpianti?
«Col senno di poi rimpiango non avere avuto dieci anni di più. Gli anni 70, dilaniati dal terrorismo, sul piano artistico sono stati tra i più liberi e rivoluzionari. In quegli anni ci sono tutti i miei dèi».
E chi sono questi dei?
«Fo, Jannacci, Gaber, Cochi e Renato, Teocoli, Boldi prima dei cinepanettoni, Abatantuono, Battiato, Gino e Michele autori di Ci vuole orecchio ma anche gli Skiantos, Gazzè, Silvestri, Fabi. Artisti che cercano ma in senso contrario, scorretti, candidamente blasfemi tanto più con questa faccenda di internet».
Che faccenda?
«Invece di essere il posto più libero, internet è diventato il più bacchettone, violento. Non è possibile fare una battuta che ti rovinano. È contro la risata».
Come mai non ha coinvolto gli Elii nello spettacolo?
«Siamo amici da più di 40 anni, la nostra forza è che restiamo in contatto anche se ognuno fa le proprie esperienze. Lavorare troppo assieme vuol dire routine, pericolo che abbiamo esorcizzato sospendendo l’attività, ma i giornalisti hanno decretato che la sospensione è uno scioglimento.
Così, ci frequentiamo senza dirlo.
Suoniamo in studio, facciamo anche qualche post sui social...».
Come sarà lo spettacolo?
«È un viaggio dentro le epoche di Jannacci, perché non è stato sempre uguale: tra i brani c’è
La luna è una lampadina, L’Armando, El purtava i
scarp del tennis, canzoni che rido mentre le canto. Ne farò alcune snobbate, Parlare con i limoni, Quando il sipario calerà. Perché c’è Jannacci comico e quello che ti spezza il cuore di Vincenzina o
Giovanni telegrafista, risate e drammi. Come è la vita: imperfetta.
E nessuno meglio di chi abita nel nostro paese lo sa».
Per questo ha parlato di autismo a Propaganda Live qualche sera fa.
«Non lo avrei mai fatto, non voglio mettere in mostra me o la mia famiglia, se non fosse che dopo più di dieci anni e un figlio autistico non sai dove sbattere la testa. Non ci sono cure, non sai a chi rivolgerti. I casi aumentano, sono qualche milione. Dopo la tv mi ha convocato il ministro. Ci andrò, anche se scardinare questa indifferenza...
non ci credo più. Sarebbe già una vittoria passare dal dramma in cui pensi di ammazzarti a una vita magari difficile ma in cui almeno tuo figlio può scrivere e parlare».