ItaliaOggi, 1 giugno 2021
Periscopio
Un quirinalista non stacca mai. Al momento di andare in pensione avevo 390 giorni di ferie non godute e 100 di riposi settimanali arretrati. Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera (Stefano Lorenzetto). L’Arena.
La contraddizione più vistosa del M5s è stata l’illusione della democrazia diretta, telematicamente gestita dalla piattaforma (privata) di Gianroberto Casaleggio, al quale è subentrato il figlio Davide. Scardinato il principio di rappresentatività, il partito è stato amministrato da minoranze statistiche di volta in volta mutevoli. Senza dimenticare l’assenza di democrazia interna: la storia del Movimento 5Stelle è una storia di continue espulsioni e dimissioni, di liti furibonde tuttora in svolgimento. Dino Basili. Studi Cattolici.
Nel cortile di Montecitorio, Nicola Pellicani, deputato del Pd e figlio d’arte (il padre Gianni fu uno degli esponenti più in vista della corrente migliorista del Pci), parla con un certo disappunto della metamorfosi di Enrico Letta. «Il Pd – spiega un personaggio che ha mangiato pane e politica fin da bambino – rischia di implodere. Stiamo mettendo in campo tematiche per attirare i mondi grillini, ma rischiamo di isolarci da tutti gli altri. Anche perché non siamo credibili quando vogliamo interpretare quei mondi: siamo stati fino a ieri l’asse del sistema di governo e ora che ci mettiamo a fare, la parodia del grillismo? Dovremmo sincronizzarci con il presente, il futuro e, invece, guardiamo al passato. Almeno Renzi lo faceva. Ecco perché la parte più moderata del partito è in sofferenza. Quelli di Base riformista, io gli parlo, fanno tutti i giorni la macumba a Letta». Augusto Minzolini. il Giornale.
Prima di parlare di nuove tasse trasferiamo nelle casse pubbliche almeno una frazione della gigantesca ricchezza prodotta dalla Rete e dalla finanza in questi anni di impoverimento del ceto medio. Dopo, e soltanto dopo, cominceremo a calcolare a fini fiscali quanto valgono la licenza, la casa e il garage della nonna. Aldo Cazzullo. Corsera.
La Meloni, «ducetta» per i nemici, accetta di buon grado sia le lusinghe del cardinale Parolin, che potrebbe aprirle le porte di un mondo cattolico allo sbando, sia quelle del premier Draghi, utilissimo per facilitarle i rapporti nelle ancora diffidenti cancellerie europee. Draghi, dal canto suo, sa bene che per salire al Colle con un consenso amplissimo che gli garantisca un settennato imparziale non potrà fare a meno dei voti della destra. Anche se, ogni giorno che passa in quel manicomio di Palazzo Chigi, con ministri in continua lite sotterranea tra loro, più che sul Quirinale Supermario comincia a pensare che gli convenga puntare su Washington: Fondo Monetario o, in alternativa, Banca Mondiale. Più dollari meno grane. Luigi Bisignani. Il Tempo.
Vigeva il rigido proporzionalismo, nessun collegio uninominale, niente sbarramento (per esempio, la soglia del 5% come in Germania), niente premio di maggioranza. In una parola, rappresentatività alle stelle. Tutto molto democratico, ma a prezzo di una babele parlamentare, all’insegna dell’individualismo più capriccioso. Giancarlo Perna, Il Ring – Cinquant’anni di risse tra i Poteri. Guerini e Associati.
Una sera a una riunione editoriale Feltrinelli la fa lunga nel dire che bisogna socializzare tutto, che «quello che è mio è anche vostro». Bianciardi per tutta risposta si alza, prende il lussuoso cappotto di cammello del «padrone» Giangiacomo Feltrinelli e se ne va. A modo suo lo «socializza», lasciandogli il suo pastrano sformato e consunto. È anche per alzate d’ingegno così che a breve viene dirottato al piano di sopra, dove si fa la rivista Cinema Nuovo diretta da Guido Aristarco, critico rigoroso e serissimo. Lui è insofferente verso i «preti rossi»: sono fatti per non andare d’accordo. Litiga anche con Aristarco, lo chiama «Arcisterco», si fa il vuoto intorno. Luciano Bianciardi, scrittore (Maurizio Pilotti). Libertà.
Nei due anni intercorsi tra il XX Congresso del Pcus e il boom del Dottor Zivago in edizione Feltrinelli, quest’ultimo è l’editore che per una serie di circostanze più o meno fortuite ne detiene i diritti globali, tutti cercano (o fingono di cercare) il dattiloscritto originale in caratteri cirillici del romanzo. Chi per pubblicarlo a ogni costo, chi per farlo sparire a ogni costo, chi per costruirci intorno un’operazione di propaganda che, all’epoca, era senza precedenti. Diego Gabutti, scrittore. Informazione corretta.
Ora che il film sugli Sgarbi (padre e madre di Vittorio ed Elisabetta) è uscito, c’è qualcosa che avrei voluto fare diversamente. È una scena che non ho messo e che era quella che aveva motivato il film. Un momento che mi ha raccontato Elisabetta Sgarbi: ogni fine settimana andava a trovare a Ferrara il padre che era rimasto vedovo. Quando non poteva raggiungerlo, il padre la chiamava davanti alla tomba della moglie e insieme recitavano il Padre nostro. Pupi Avati, regista (Alessandra Ricciardi). ItaliaOggi.
Ho stima del ministro della Cultura Franceschini, ma una persona attiva non basta. Occorre un sistema che gira in quella direzione. Qualche bel segno c’è. A fine giugno riapriamo, con l’Orchestra giovanile Cherubini, il piccolo teatro di Marradi, in Toscana, opera del Settecento. Non solo: le prove della Cherubini in questi giorni sa dove le facciamo? Fuori Ravenna, in un teatro costruito alla fine del ’900 dai braccianti, la testimonianza di quell’Italia fantastica che deve solo ritrovare questa sua anima. Riccardo Muti, direttore d’orchestra (Pietro Visconti). Libertà.
Conobbi l’editore Franco Maria Ricci a metà degli anni 60 grazie a un editor della Mondadori che gli aveva fatto il mio nome per alcuni lavori di redazione. Ci incontrammo in un bar di Brera, e mentre per le strade c’era un corteo da cui si levavano i nomi di Marx e Lenin, lui mi parlava di Bodoni. Mi colpì la sua eleganza, la rosa di plastica all’occhiello; conoscendolo meglio, constatai che la cura si estendeva alle case, agli uffici, a tutto quello che rientrava nella sua sfera. Agostino aveva detto: «In interiore homine habitat veritas» all’interno dell’uomo c’è la verità; forse per questo la sua religione dell’esteriorità mi lasciava perplesso. Oggi so che l’interiorità è spesso involuta, farraginosa. L’amore per ciò che si vede, per le belle apparenze, era in lui qualcosa di serio, di vitale, e si univa a un’etica del lavoro ben fatto. Giovanni Mariotti, scrittore (Paolo Di Stefano). Corsera.
È difficile dire la verità quando la menzogna è più suggestiva. Roberto Gervaso.