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 2021  giugno 01 Martedì calendario

Intervista a Nichi Vendola (parla dell’Ilva)


ROMA – «Quelli che hanno venduto l’ambiente di Taranto e non solo, stanno godendo… sono finito in una tagliola giudiziaria». Nichi Vendola, l’ex governatore della Puglia e leader della sinistra ecologista, condannato a tre anni e mezzo per concorso in concussione aggravata nell’inchiesta sul disastro ambientale dell’ex Ilva di Taranto.
Per i giudici di primo grado ha esercitato pressioni sull’ Arpa, l’agenzia pugliese per la protezione ambientale, affinché attenuasse la portata delle relazioni che si riferivano alle emissioni.
Vendola, dove ha atteso la sentenza? E quale è stata la sua reazione?
«In campagna con la mia famiglia.
Aspettavo con ansia la fine di un incubo che dura da troppi anni.
Invece subisco una condanna assurda, che avalla un’accusa grottesca. E io che ai Riva non ho mai fatto sconti e dai Riva (a differenza di tanti) non ho preso neppure un euro, a questa sentenza mi ribello».
Ha detto che la sentenza è una vergogna e un delitto contro la verità, però i veleni dell’ex Ilva sono un fatto: non si riconosce alcuna responsabilità?
«Un secolo di inquinamento industriale, oltre mezzo secolo di siderurgia a Taranto sono finite addosso alle mie spalle, cioè della prima classe dirigente che non ha fatto finta di niente, che ha agito contro i veleni. Le uniche leggi regionali in Italia contro la diossina e il beonzoapirene le abbiamo fatte in Puglia. Noi abbiamo scoperchiato la pentola. Prima di noi, l’Ilva si autocertificava i dati sulle emissioni. I 200 camini dell’Ilva non erano mai stati monitorati da un’agenzia indipendente. Prima del mio governo non esisteva la parola diossina. Sono atti pubblici, ha parlato con onestà anche il capo dell’opposizione nel decennio del mio governo della Puglia, Rocco Palese. Il paradosso è che se io non avessi sfidato i Riva, se avessi fatto finta di niente dinanzi al dolore di Taranto, non sarei finito dentro questa tagliola giudiziaria».
Forse è una assoluzione facile quella che si dà. La storia del disastro dell’acciaeria significa sversamenti nel mare, nell’aria, nella città. Davanti al tribunale che l’ha condannata, c’erano i familiari dei bambini morti di cancro, dei cittadini dei quartieri soffocati dai fumi. Per loro lei è stato una speranza, ma ha dato risposte a quella piazza?
«Il punto è che da soli abbiamo cercato di affrontare una questione che aveva un rilievo nazionale e europeo: i veleni industriali non sono un pezzo del folclore pugliese, sono ovunque in Italia, eppure noi abbiamo operato, legiferato, le nostre sono le uniche leggi sulle diossine o sul danno sanitario. E abbiamo rischiato, perché quella ambientale è una esclusiva competenza dello Stato. Noi abbiamo rinforzato presidi che non c’erano, investito in competenze e mezzi, e appena abbiamo avuto le evidenze scientifiche – anche per non essere bocciati dal Tar che dava spesso ragione all’Ilva – abbiamo messo in campo norme all’avanguardia. Noi abbiamo sfidato il gigante Ilva. E Arpanon ha mai, mai, mai ammorbidito la sua linea di condotta».
Ha detto spesso che le sentenze si rispettano: ora per lei non è più così?
«Le sentenze ingiuste si appellano.
Questa non è solo ingiusta, è una barbarie».
La ritiene una sentenza politica?
«La ritengo una sentenza che calpesta la verità per me e per chi ha lavorato con me».
Quindi come ricostruisce quegli anni in cui era governatore della Puglia?
«Ripeto, quando sono diventato governatore, l’Arpa era una scatola vuota. Noi abbiamo fatto una vera rivoluzione sul piano paesaggistico e urbanistico, sul piano delle energie rinnovabili, sulla bonifica dei siti d’amianto. E anche sul capitolo del più grande siderurgico d’Europa. Quelli che hanno svenduto l’ambiente di Taranto e non solo, oggi stanno godendo...».
Faccia i nomi.
«Stiamo parlando di mezzo secolo di inquinamento, in cui nessuno ha visto, ha parlato, tranne qualche solitario combattente della verità.
Nessuno, né dal lato della politica, né dal lato della giustizia. Stiamo parlando del gruppo industriale Riva che è stato generoso con molti politici e molti giornalisti, ma con nessuno dei membri del mio governo».
Quella risata al telefono con portavoce dell’Ilva per avere silenziato un giornalista, ha pesato?
«Non mi è mai stata contestata. E comunque andrebbe collocata nel suo giusto ambito».
Non c’era solo la necessità di leggi anti diossina, ma anche di una legge sul danno sanitario che dava molto fastidio ai Riva. E lei non la fece, perché?
«La feci. Feci una legge sulla valutazione di impatto sanitario che avrebbe avuto conseguenze non solo sul gruppo Riva.
Codificava il primato del diritto alla salute sull’economia».
Le leggi ambientali della Puglia, secondo i giudici, non hanno impedito la complicità con i Riva.
«Sono accusato di “concussione implicita”, così implicita che non hanno neppure provato a dimostrarla».
La sentenza rappresenta un addio definitivo alla politica?
«Anche la giustizia è avvelenata e va bonificata. La violenza che subisco mi fa comprendere quanto sia importante continuare a lottare».