la Repubblica, 31 maggio 2021
Intervista a Stefano Pioli
Stefano Pioli, stabile nel ciclone delle panchine: l’aspetta il rinnovo con il Milan oltre il 2022.
«Non è la priorità. Con Maldini e Massara si parlerà soprattutto di come migliorare la squadra».
Il 26 agosto sarete al sorteggio Champions dopo sette anni.
«La bella addormentata si risveglierà nella sua casa: in mezzo ai più grandi club. Prima dell’Atalanta ho chiesto ai ragazzi: volete ancora giocare col Rio Ave o è ora di City, Psg, Bayern?».
Il Milan è 53° nel ranking Uefa.
«Un po’ strano che i vicecampioni d’Italia siano messi in quarta fascia.
Ma vogliamo crescere: affrontare le più forti aiuta, dovrà essere l’anno della nostra conferma».
Si sente mago, esorcista o ciclista, con la volata al fotofinish?
«Solo fortunato a lavorare in questo club e con questo gruppo. Mi sarebbe piaciuto ripercorrere il Giro del mio idolo Bugno, in rosa dalla prima all’ultima tappa. Ma il calo era normale. Non abbiamo mai avuto dubbi sui principi di gioco, lavorando sui particolari».
Sembravate troppo sbilanciati.
«Il sistema è molto più fluido di quanto dicano le formule: cambiamo spesso nella costruzione per ottenere la superiorità numerica. Preparare la partita, coi giocatori sempre partecipi, è la cosa più bella per me.
Gli accorgimenti sono studiati».
Come nella serata decisiva?
«Quando andavamo a mille, potevamo aggredire gli avversari fino alla loro area. Con l’Atalanta abbiamo evitato di difenderci in parità numerica, con umiltà».
Lei diceva: non immagino un Milan senza Donnarumma.
«Professionista esemplare, concentrato sul campo. Poi una trattativa può funzionare oppure no.
Ci siamo sentiti e ringraziati a vicenda, è un rapporto sincero. Gli ho fatto gli auguri per l’Europeo».
Maldini dice: scordatevi il mercato di Berlusconi, bisogna essere creativi.
«La creatività i miei dirigenti l’hanno già dimostrata. A parte Ibra, sul quale avevo ovviamente espresso parere positivo, penso a Kjaer e Saelemaekers, a Tomori che non conoscevo, se non per uno spezzone.
Qualunque sarà il budget, il nome Milan continua a essere un richiamo.
L’importante è avere costruito una base di 10-12 giocatori da squadra di vertice, come Hernandez, Tomori, Kjaer, Kessié, Calabria, Çala, Ibra. Ora dobbiamo migliorare il gruppo: la conferma è la cosa più difficile».
Teme analogie col secondo anno alla Lazio, caduta ai play-off di Champions?
«Qui il secondo l’ho già scavallato, allora non affrontai di petto alcune dinamiche di gruppo. Da lì ho smesso di mediare, a costo di decisioni impopolari».
Il 2-0 di Bergamo ha chiuso il cerchio dello 0-5 nel 2019?
«Le grandi delusioni ti aiutano a crescere. Quel Natale difficile ci ha dato lo spunto per cambiare sistema di gioco, prendere Ibra, fare un mercato in uscita mirato».
Ibra ha giocato metà delle gare.
«Mi dispiace per gli infortuni di Mandzukic, scelto per alternarsi con lui senza che calasse il livello. Zlatan non potrà giocarle tutte. Sa quando forzare: il rapporto è sincero. La Champions è meno pesante dell’Europa League il giovedì. Ma ci vuole il quarto attaccante».
Nomi maturi o linea giovane?
«Se nei 5 campionati principali siamo la squadra più giovane tra le prime, è perché abbiamo dimostrato maturità. Che non è questione di età, ma di atteggiamento. Nel calcio moderno servono giocatori con due doti: intelligenza e capacità di accelerare. Prima il Milan era monopasso, oggi bisogna reggere l’uno contro uno a campo aperto».
Un calcio box to box?
«È finito il “meglio non prenderle”. All’estero si prepara la partita per esaltare le proprie qualità».
È Kessié il nuovo leader?
«Ne abbiamo più di uno, lo è anche Kjaer. Franck nelle difficoltà è il riferimento dei compagni. Fino a un minuto prima dell’allenamento è lì che balla e sembra che non gli interessi, poi è un esempio per tutti».
Quanto tempo per tornare sul tetto d’Europa?
«Il Milan deve tornarci. L’unico rimpianto è l’eliminazione con lo United: il gol annullato a Kessié a Manchester e il ritorno senza Ibra, Rebic e Leao. Si dice che le italiane non abbiano ritmo e intensità, ma noi in Europa non siamo mai andati in difficoltà. Però da qui a pensare di potersela giocare con Chelsea, Bayern, City, c’è un percorso di crescita, fatto di anni in Champions».
Il tetto d’Italia è più vicino?
«Un passo per volta. L’Inter ci ha messo anni e investimenti, la Juventus sarà di nuovo tra le favorite. Noi non dobbiamo perdere determinazione ed entusiasmo».
Il podio della A è tutto lombardo.
«Milano è al centro di tutto, traina l’economia: è giusto che sia tornata in cima. La nostra proprietà ci sostiene e ci tutela. L’Atalanta è una società fortissima e asseconda Gasperini, grandissimo allenatore».
Ma era esclusa dalla Superlega.
«La meritocrazia è alla base dello sport, però Uefa e Fifa devono chiedersi perché club così importanti hanno pensato alla scissione.
Significa che il sistema ha fallito».
Barça, Real e Juve rischiano la Champions.
«A me sembra inevitabile un tavolo tra le componenti del calcio europeo, per sviluppare il prodotto: servono confronti e cambiamenti».
Intanto sta tornando il pubblico.
«Fine di un incubo. Penso a cosa ci siamo persi negli stadi di Celtic, Stella Rossa e United vuoti, e al calore dei tifosi a Milanello, prima di Bergamo.
Con loro a San Siro, non avremmo dovuto aspettare l’ultima giornata per qualificarci».
E la vistosa differenza di rendimento casa-trasferta, concetti virtuali a porte chiuse?
«Non siamo mai mancati nel controllo del gioco, ma in casa abbiamo dati molto negativi nell’uno contro uno offensivo: non abbiamo tanti giocatori che saltano l’avversario».
Giusto mantenere le cinque sostituzioni?
«Sì, con 23 giocatori in lista non è positivo che 8-9 si sentano estranei alla partita».
Shevchenko propone di valutare per il fuorigioco solo petto e ginocchia.
«In effetti il fuorigioco millimetrico mi mette in difficoltà, fatico anche col replay».
Var e rigori: le accuse al Milan per i venti penalty a favore?
«Non mi toccano: ne avremmo meritati di più. Il Var torni alle origini: intervento in caso di errore evidente dell’arbitro. E poi basta fidarsi del fermo immagine: sullo slancio, un contatto in foto lo vedi sempre, ma il calcio non è mica statico. Mi permetto anche un consiglio al designatore Rizzoli, che stimo: coppie fisse arbitro-Var, che si alternino nei due ruoli per affinare uno stesso modo di arbitrare. Oggi cambiano di continuo: spesso si nota scarsa simbiosi».
Il 26 agosto 2015 il Leverkusen eliminò dalla Champions la sua Lazio: ora ci sarà il risarcimento?
«Sarà la mia prima Champions. È una crescita continua: la passione mi permette di essere curioso, voglioso di migliorare. Mi sento completo. Ma ho voglia di cimentarmi contro i più grandi allenatori».