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 2021  maggio 31 Lunedì calendario

Alessandra Ferri, 40 anni sulle punte


Dopo la valanga di ricordi, ecco un vero, concreto omaggio a Carla Facci, nato molto prima della morte, pochi giorni fa, dell’étoile. L’Heure Exquise – Variazioni su un tema di Samuel Beckett è un gioiellino che il grande Maurice Béjart aveva creato nel ’98 per lei e comunque per una ballerina dal passato importante. «Ho pensato che fosse giusto per me, adesso», confessa Alessandra Ferri che lo ripropone, con Carsten Jung, principal dell’Hamburg Ballet, dal 4 giugno al Teatro Alighieri per il Ravenna Festival, dal 13 settembre a Torinodanza e poi in tournée all’estero. Più riservata della Fracci di cui è considerata l’erede italiana, formata alla Scuola di Ballo della Scala, Alessandra Ferri celebra con questo lavoro i 40 anni da quando entrò al Royal Ballet di Londra, avvio di una carriera internazionale che nell’85 l’ha portata anche a New York all’American Ballet, voluta da Michail Baryshnikov. «Di rifare l’ Heure Exquise ne avevo parlato con Carla ed era molto contenta. Mi sarebbe anche piaciuto provarlo con lei», spiega Ferri che ha lavorato con i più grandi coreografi del mondo, dal suo mentore, Sir Kenneth McMillan, a Jerome Robbins, per 25 anni con Roland Petit girando le grandi capitali, Twyla Tharp, Frederick Ashton, John Neumeier, William Forsythe, Wayne McGregor, ma curiosamente mai con Béjart «e non saprei perché, visto che ci conoscevamo e stimavamo». L’Heure Exquise è una strabiliante rilettura di
Oh, les beaux jours di Samuel Beckett: la logorroica Winnie dell’originale, semisepolta nella terra che parla parla per sentirsi viva, qui è Lei, una danzatrice “âgée”, punitivamente bloccata in una montagna di scarpette da punta. «Poi c’è il tocco di magia bejartiana, la montagna si apre e lei entra nei balletti del suo passato, della sua felicità. Forse è tutta una sua immaginazione, ma intanto lei vola».
Minuta, magra come quando a 15 anni senza nemmeno sapere l’inglese si era trasferita al Royal Ballet, dimostrando quella forza di carattere che non l’ha mai lasciata («sì ma quanta solitudine»), Alessandra Ferri confessa di sentirsi vicina a questa ironica sognatrice che è la Lei bejartiana «perché non è facile per una ballerina fare i conti con il proprio passato. La danza è totalizzante, è come stare sotto lo stress delle olimpiadi tutta la vita. Allenamenti, disciplina, fatica… ma è anche una scuola di vita. Quando nel 2007 decisi di ritirarmi per stare con le mie figlie, e perché sentivo che non avrei più potuto ballare le Giselle, le Giuliette, ho continuato a sentire che la mia vibrazione vitale era la danza. Ma quello stacco di sei anni è servito per la transizione dall’essere la ballerina col tutù alla danzatrice che sono diventata».
Oggi ha 58 anni, trascurabili quando la si vede in scena, anche se è chiaro che il suo rapporto con la danza è cambiato: «Alcune coreografie o passi non mi interessa più farli, saltare o cercare dei virtuosismi non avrebbe senso. Non cerco di essere quella che ero, ho la mia età e voglio ballare questa fase della mia vita. Ho imparato a dosare l’allenamento, come rispettare il mio corpo, come forzarlo un po’. E sono contenta perché attraverso la danza, vivo. Non mi do più scadenze. Mi sento forte e libera. Prima di tutto dal preconcetto dell’età».