la Repubblica, 31 maggio 2021
Intervista a Sonia Bergamasco (parla di Battiato)
Luigi Bolognini All’alluvione di ricordi di Franco Battiato si era finora sottratta una delle persone che più gli è stata vicina, al cinema e in tv, Sonia Bergamasco. Un po’ «perché ero all’estero quando è successo».Molto, c’è da giurarlo conoscendo l’estrema sensibilità umana della 55enne attrice, per pudore. Ma adesso un motivo per parlarne c’è, buono, anzi ottimo: nella notte tra oggi e domani, dall’una alle 5,30, Rai 2 dedicherà al cantautore una notte bianca, trasmettendo tutte di fila le 6 puntate dell’unica trasmissione che curò, realizzò e condusse, Bitte, keine Réclame. Un programma del 2004, visibile anche sull’app RaiPlay, andato in onda su RaiDoc e poi, una sola volta, proprio su Rai 2. E accanto a Battiato, a fare gli onori di casa, c’era proprio Sonia Bergamasco, che fu anche sua attrice in due dei tre film che il cantautore diresse, Musikanten e Niente è come sembra, giusto a metà del decennio.Una collaborazione intensa.«Iniziata nel 2003. Ero a Parma per uno spettacolo teatrale quando mi squillò il cellulare: era Battiato. Ero emozionatissima perché lo adoravo da sempre, le sue canzoni sono sempre state importanti per me. E con la gentilezza e la simpatia che lo contraddistinguevano, mi propose il ruolo di protagonista di Musikanten, il suo secondo film.Non ci eravamo mai incontrati prima, e non ci fu alcun provino.Non mi spiegò perché aveva scelto me, né io glielo chiesi.Semplicemente mi aveva giudicata adatta per quel ruolo, che era anche doppio: la giornalista Marta che, sottoponendosi a una regressione ipnotica, si ritrova nei panni di un principe mecenate di Beethoven.Poi ho capito: Franco amava circondarsi di persone con cui aveva empatia, che in qualche modo facevano parte del suo mondo interiore. E non mi sono mai pentita di questa scelta, benché Musikanten, come anche gli altri due film che Franco realizzò, potessero essere definiti eccentrici, si inoltravano in territori diversi dal classico linguaggio cinematografico. Per questo era inevitabile che Musikanten non avesse una buona accoglienza a Venezia, la rassegna non era un posto adatto per un’opera di quel genere.Partecipai anche, in un cameo nel ruolo di Hildegarde von Bingen, inNiente è come sembra, il suo terzo e ultimo film, e rivedendo oggi quella scena, ricordo con precisione l’ispirazione poetica e musicale con cui Franco l’aveva concepita».Che persona scoprì, oltre al personaggio?«Sul set scattò definitivamente il feeling umano: era divertentissimo, amava ridere, scherzare, anche raccontare barzellette. Aveva il dono della leggerezza, non era mai serioso. E non faceva discorsi metafisici, anzi era aggrappato alle cose pratiche».Aneddoti sul set che ricorda?«Una cena durante le riprese proprio di Musikanten, in Svizzera. Tra gli interpreti c’era Alejandro Jodorowsky, nel ruolo di Beethoven. Mi fece i tarocchi, e mi annunciò che ero incinta. Non l’avevo detto ancora a nessuno, ero al secondo mese, rimasi turbata. Mi disse, tra l’altro, che sarebbe stata una femmina!Franco mi chiese se fosse vero, ma poi non si stupì affatto. Un essere speciale, appunto».E la tv come andò?«Sempre in quel periodo mi chiese che lo affiancassi a condurre Bitte, keine Réclame.Non avrei mai potuto dirgli di no.Fu memorabile: solo lui poteva ideare un progetto televisivo in sei puntate che indagasse “la conoscenza diretta e indiretta di Dio”, come diceva. Lo studio era diviso in quattro lati identificati con i punti cardinali, ognuno dedicato a un ambito della cultura: il Nord la musica, l’Est la spiritualità e il misticismo, il Sud (con Manlio Sgalambro) la filosofia, l’Ovest la sintesi dei diversi campi. E solo lui poteva mettere assieme e portare davanti alle telecamere Giovanni Sollima, Jodorowsky, Claudio Rocchi, Isao Hosoe. Danzatori, filosofi, musicisti…».Chi la colpì di più?«Raimon Panikkar, per il sorriso saggio: avevo già letto alcuni suoi libri e lo avevo già sentito parlare in pubblico: una persona libera, un sacerdote dal pensiero illuminato».E ora rieccola in onda.«Ai tempi sul satellite, ora su Rai 2, a ora tarda, ma integralmente, oltre che su RaiPlay. Ed è un’opportunità per tutti. Sono fiduciosa che i miracoli possano accadere, che qualcuno guardi queste trasmissioni e scopra qualcosa di sorprendente che parte dalla musica di Franco e lo porta chissà dove».Come ha reagito alla sua morte?«Non di sorpresa: giusto il giorno prima, un amico comune mi aveva raccontato della situazione critica. Per cui ho provato profondo dolore, certo, ma ho anche pensato che la morte è stata solo una tappa di un percorso spirituale che lo ha portato chissà dove, adesso. L’ultima volta che lo vidi fu nel 2015, in occasione del cofanetto intitolato Le nostre anime. Non stava già bene, ricordo quel sorriso dolcissimo come fosse oggi».Tanti ne hanno parlato come uno diverso da chiunque altro.«Di sicuro. Era un artista, amico degli artisti, amato dagli artisti, ma il suo percorso era unico, come quello di Fabrizio De André.E non lo cito a caso, perché il brano di Franco a cui sono più affezionata è La canzone dell’amore perduto, che era sì di Faber, ma come lo interpretò Franco in Fleurs nessun altro lo fece mai».