il Giornale, 31 maggio 2021
Biografia di Roy Hodgson
Nel Social football club che immagina Massimo Moratti, Mr Roy Hodgson è perfetto. In quel crogiolo di teste perforate, il tecnico di Croydon è trasparente come un cielo senza nubi e davanti a un cappuccino con la schiuma al bar di Appiano, è perfino capace di dire quello che pensa per davvero, una sorpresa per tutti in questa galassia di ipocrisie. Ottavio Bianchi è fatto fuori dallo spogliatoio, il Massimo l’ha capito subito che non poteva durare, l’ha tenuto per rispetto a Ernesto Pellegrini che l’ha ingaggiato, e poi anche perché Mr Roy non si libera dagli svizzeri. Lì fa il ct. Quando finalmente dopo sforzi inenarrabili e tanta diplomazia, gli fa attraversare il confine, Mr Roy in battuta gli confida: Molto onorato della panchina, presidente, ma vorrei restare anche su quella della Svizzera, tutte e due, si può?.
Non è importante quello che dici ma come lo dici. E Mr Roy è costantemente di una delicatezza esagerata. Il presidente finalmente ha un allenatore tutto suo, è nuovo nel campo, Mr Roy invece allena da 24 anni, niente di speciale ma ha già vinto quattro campionati in Svezia con Halmastad e Malmoe, un unico problema, non ha il patentino per allenare in Italia, il Massimo gli mette al fianco Giovanni Ardemagni, un signore che sta attento a calpestare perfino la sua ombra: Cosa ci faccio qui? Devo dare meno fastidio possibile. Come va con il signor Hodgson? Molto bene, ancora non siamo in confidenza ma amiamo tutti e due la musica e al mercoledì pomeriggio andiamo assieme al Conservatorio. Gente per bene sulla panchina e quando arriva anche Giacinto Facchetti il trio diventa un club di gentiluomini, voce bassa, disponibilità assoluta, rispetto, il massimo per il Massimo. Ma la squadra è una polveriera, il presidente inizia subito a spendere, in squadra ci sono Paul Ince e Roberto Carlos, Javier Zanetti arriva dal Banfield, Maurizio Ganz è fuori di calcio, va a letto col pallone e quando la serie A dichiara lo sciopero, campionato fermo, va da Roy Hodgson: Mr, ho il permesso di giocare? Ma non ci sono partite, gli risponde Mr Roy. Sì, ma c’è il derby Primavera, dall’altra parte gioca Futre, gli risponde Mauri: Allora ho il permesso? Mr Roy glielo concede, Ganz si riacquieta. Passa Angelo Domenghini, tecnico della Primavera, tutti a chiedergli se ha deciso chi saranno i due fuori quota nel derby: Li abbiamo scelti, risponde, giocano Pistone e Orlandini. Ganz sprofonda sulla poltrona, ma è anche lui un ragazzo speciale: Non ce l’ho con Hodgson, lui mi ha dato il permesso di giocare, non mi ha detto che lo avrei giocato.
Il rispetto si guadagna, non si chiede, Mr Roy è un maestro, facile sparare a alzo zero contro chi sceglie di non difendersi, ma non c’è pace. Il 15 dicembre del 1996 l’Inter ne prende quattro dalla Sampdoria, l’ultimo è di Roberto Mancini, proprio il calciatore che Moratti adora ma Mr Roy non ha voluto. Moratti esce prima, prende per mano il figlio Giovanni e saluta quella banda di sciamannati. Fischi a palla, bottiglie, cuscinetti, arance, in campo piove di tutto, la Nord sfonda e tenta di entrare nello spogliatoio, respinta, assalto alla zona vip, vetri sbriciolati, cariche, arresti. Trasloco dei capi giù nel tunnel del garage dove c’è il pullman e le automobili dei giocatori. E Mr Roy? Lo hanno avvisato che sarebbe bene non finire nelle mani della Nord, non ha voluto Mancini, se lo trovano finisce male. Il pullman esce dal garage diretto ad Appiano, nessuno a bordo... anzi no, c’è dentro Mr Roy, solo, accovacciato e steso sotto i sedili, impeccabile nel suo abito e le scarpe lucide: Ma è arrivato sano e salvo, fa sapere l’ufficio stampa.
Vera o no la sua decisione su Mancini, un’altra lo perseguita e si chiama Roberto Carlos. Il miglior laterale del mondo va al Madrid, Mr Roy gli ha preferito Alessandro Pistone. Ogni intervista, chiacchierata, conferenza, finisce con la solita domanda: Ma lei alla fine si è pentito o no? Ci sono voluti anni prima che Mr Roy rispondesse, poi un giorno l’ha fatto: Non io, c’era bisogno di sistemare i conti. Poteva dire chiaro chi fosse in realtà l’artefice di quella mossa di mercato, peraltro noto, non l’ha fatto neppure a distanza di anni e si è portato la sua bella croce addosso. Potevi scrivere quello che volevi, stringeva la mano a chi gliela porgeva, se si mette a piovere lui apre l’ombrello, in fondo qui non ha vinto un beato niente, neppure uno straccio di finale Uefa contro lo Schalke 04. Se n’è andato da amico di tutti, e dopo il solito giro di panchine Moratti nell’aprile del ’99 lo richiama. Lui gli fa presente che al mercoledì ha il Conservatorio e al giovedì la partitella con gli amici svizzeri nel cantone: Moratti è una grande persona, tutto concesso. Ronaldo? Mah, io non l’avrei mai preso neppure per 30 milioni. Gelo. Arriva l’avvocato Prisco: Penso che Hodgson chiuderà questo campionato nel migliore dei modi, ma non è una scelta tecnica, è qui per salvare Luciano Castellini, non ce la faceva più, troppa pressione, aveva sempre un gran mal di testa. Roy non è presente, avrebbe risposto: È vero, sono qui per salvare Castellini non l’Inter.
Adesso ha detto che dopo quarant’anni e spazzola lascia. Figlio di un tranviere, sguardo da tacchino pettinato, ha amato Ciriaco Sforza, non è mai riuscito a pronunciare il nome di Kanu e non ha mai capito perché Fresi si ostinasse a giocare da libero ma lo lasciava fare. Un giorno ha tolto le sue mazze da golf dall’armadietto di Appiano, ha smesso di andare al circolo dagli amici svizzeri e ha detto che è finita anche questa.