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 2021  maggio 31 Lunedì calendario

Venduta a 15 mila euro la scultura che non c’è

L’«opera intangibile» c’è (c’è?), ma non si vede. 
Qui l’unica cosa «tangibile» è invece l’assegno di 15mila euro staccato da un anonimo «collezionista» (sì, ma di cosa?) per aggiudicarsi un lotto invisibile. 
È accaduto nel corso dell’asta organizzata a Milano da «Art-Rite», galleria tanto «oltre» da riuscire a vendere all’incanto una incantevole suggestione; che, però, pur sempre una suggestione rimane. 
Dunque, giù il cappello davanti alla «creatività immateriale» di Salvatore Garau, 67 anni, bravo a sbarcare il lunario, commercializzando semplicemente la polvere interstellare di un’idea: la sua. 
Provocazione, non c’è dubbio. Ma più semantica che semiotica. Calembour linguistico batte creatività artistica 1 a 0, considerato che la «novità» non è fresca di candeggio: un déjà-vu che gioca a rimpiattino col fratello gemello déjà-no-vu. E gli illustri precedenti non mancano certo. Come sa bene Milo Goj, esperto d’arte (e di marketing) che infatti, per descrivere l’aggiudicazione d’asta del «ready-made» escogitato da Garau (di cui lo stesso Goj cura l’archivio storico), accenna a «Duchamp, Fontana e Manzoni». 
Un gioco di specchi citazionistici e di rimandi accademici che ben riflettono luci e ombre di un esercito di funamboli del (dis)velamento: da Yves Clein a Andy Warhol; da Christo ad Abramovic; da Paul Klee a Cattelan; da Yoko Ono a Gianni Motti. Ma l’elenco dei furbi foderati di genialità (o dei geni farciti di furbizia) sarebbe lunghissima. 
A fare la differenza – come sempre – è il talento gestuale e la primogenitura intuitiva, benché per lasciare una traccia permanente lungo la pista vaporosa dell’arte non basti la prima e non sia sufficiente la seconda. 
Garau, sassarese, 45 anni, spera pure lui di lasciare un’orma, sfidando il dogma (irraggiungibile) dell’originalità e quello (forse più abbordabile) dell’originarietà: che poi vorrebbe dire ricalcare in chiave moderna le impronte del passato. E forse nasce da questo recupero concettuale il desiderio di «esporre» lo scorso febbraio davanti alla Scala di Milano la «scultura invisibile» dal titolo «Buddha in contemplazione»: praticamente un pezzo di asfalto senza nulla sopra, delimitato da quattro fasce bianche di nastro adesivo. Prova generale dell’happening ripetuto durante la recente asta di «Art-Rite» che Garau e i suoi galleristi si propongono di «replicare anche in varie altre città italiane e straniere». 
«Una metafora della nostra esistenza, soprattutto nell’era-Covid del lockdown», la spiegazione di Garau. 
L’opera aggiudicata a 15mila euro risponde alla stessa «filosofia» del «Buddha in contemplazione», ma si chiama «Io sono». Lo si legge sul «certificato di autenticità» della «Scultura immateriale», con tanto di istruzioni per l’uso: «Da collocare in abitazione privata, entro uno spazio libero da qualsiasi ingombro di circa 150x150». Firmato: «Emilio Goj, procuratore dell’archivio Salvatore Garau». 
Chiude in bellezza un post scriptum: «Il presente Certificato non può essere esposto nello spazio riservato all’opera». Buona visione.