La Lettura, 30 maggio 2021
La regina del paniere ora è l’impastatrice
Di quante cose abbiamo bisogno per vivere? Quanti beni e servizi acquistiamo per mangiare, lavorare, viaggiare, divertirci? Rispondere a queste domande equivale a scattare una fotografia del nostro stile di vita. La prima tentazione sarebbe quella di dire che tutto dipende dal reddito, per cui i poveri comprano poco e limitatamente ai beni essenziali mentre, via via che si sale nel budget, ci si orienta verso beni sofisticati e magari di lusso.
Ma è una risposta vera solo in prima approssimazione, perché le nostre scelte sono influenzate anche da fattori ambientali e dalle tradizioni culturali del luogo. Così ad esempio le fasce indigenti che vivono oggi in India e in Messico spendono per il cibo meno in proporzione rispetto ai poveri di molti Paesi africani, perché le obbligazioni sociali li portano a sostenere varie altre spese (ad esempio per i riti e le cerimonie).
Senza andare lontano, i consumi medi degli italiani raccontano una storia piena di trasformazioni, come si evince dall’analisi del paniere elaborato dall’Istat a partire dal 1928. Nato per misurare i prezzi al dettaglio e l’andamento dell’inflazione per le famiglie, questo strumento ha stilato ogni anno l’elenco dei beni e servizi più acquistati dagli italiani, creando indirettamente un’istantanea della cultura materiale di un certo momento.
Emerge così un primo periodo, che dalle origini arriva al secondo dopoguerra, quando i beni acquistati rientrano quasi tutti nelle categorie basilari legate ad alimentazione, vestiario e abitazione. Segue la fase del boom economico e la crescita generalizzata dei consumi che dura, tra momenti di espansione e crisi, fino agli anni Ottanta. Le categorie del paniere aumentano e il numero di beni e servizi conteggiati quadruplica (da circa 60 a oltre 240). È la fase in cui si aggiungono i beni durevoli per la casa (elettrodomestici, mobili) e i beni e servizi per la mobilità (auto, trasporti pubblici).
Gli anni Novanta vedono un relativo rallentamento nell’aumento dei redditi ma non del numero degli oggetti intorno a noi: è il momento delle tecnologie per l’intrattenimento, della comunicazione e dei viaggi. Dagli anni Duemila a oggi la quantità dei beni che entra nel paniere continua a salire (dal 2008 al 2021 la crescita dei prodotti è del 58 per cento, passando da 1.099 a 1.731), ma sale in parte anche il ritmo dei prodotti che escono: segno dell’obsolescenza tecnologica, del cambio di gusti, dell’interesse verso nuovi servizi. Spariscono beni simbolo come impianto hi-fi, navigatore satellitare e dvd, per lasciare il posto a smartwatch e soundbar (lo smartphone entra stabilmente dal 2010). In casa, escono le lampadine ad incandescenza ed entrano quelle a led; fra i servizi, scompaiono le riparazioni di orologi e la telefonia pubblica, detronizzati dalla telefonia mobile e dalle telecomunicazioni tv/telefono via internet.
Il paniere Istat non ci permette solo di identificare i mutamenti di lungo periodo. Possiamo osservare da vicino anche i cambiamenti che la pandemia ha portato nelle nostre abitudini quotidiane. Tra i nuovi prodotti entrati nel computo a partire dall’anno scorso, salta all’occhio il «pacchetto sanitario»: mascherine chirurgiche, mascherine Ffp2 e gel igienizzante per le mani, oggetti prima quasi sconosciuti e ora divenuti presenze quotidiane nella nostra routine.
Ma analizzando altri oggetti del paniere, emerge uno schema di comportamento più complesso. Cominciamo con i trasporti. Qui l’attenzione verso la mobilità green si è unita agli obblighi di spostamenti limitati favorendo tutti i veicoli elettrici: biciclette, hoverboard e monopattini, oltre ad automobili e accessori vari (come ricarica elettrica per auto e casco per veicoli a due ruote), anche in sharing. Insomma, ci siamo mossi di meno ma lo abbiamo fatto con più rispetto per l’ambiente (e magari anche forniti di una bottiglia termica per non abbandonare plastica in giro).
Il nostro «regno» durante la pandemia è stato però la casa. Qui troviamo molti elementi che ci aspettavamo, a cominciare dai prodotti digitali per l’intrattenimento casalingo, come web tv e cuffie con microfono (presenti già dal 2019), e tutti gli apparati di comunicazione digitale e telefonica: come dire che le forme di comunicazione e connessione alle quali eravamo abituati non sono state accantonate, ma adattate e potenziate.
L’impressione generale è che in molti casi gli italiani abbiano cercato di difendere la loro qualità di vita anche in una situazione eccezionale. E questo in vari modi, facendo ricorso a servizi che potessero surrogare le abitudini di svago e di socializzazione che negli ultimi anni avevano fortemente segnato le abitudini (pensiamo al boom di ristorazione e happy hour). Ecco dunque comparire servizi come il sushi take away e la consegna dei pasti a domicilio, mentre in parallelo si conferma la cura verso la persona (con i servizi di barba e baffi, l’applicazione di smalto semipermanente, lo stiro camicie: quest’ultimo a integrazione della lavasciuga, ultima arrivata in casa).
Su tutti, un prodotto spicca per il suo simbolismo: la macchina impastatrice. Nel pieno della pandemia, molte famiglie hanno optato per farsi in casa pasta, pane e pizza, unendo il chilometro zero della produzione casalinga al risparmio e alla soddisfazione di mangiare un buon patto italiano: insieme affermazione di una cultura condivisa e consolazione rispetto al dramma tutt’intorno.