Specchio, 30 maggio 2021
La storia di Salvatore Di Grazia
I vestiti di buona fattura sulle sfumature dei pastelli e del mare, la pochette e la cravatta sempre inappuntabili nelle liasons dei colori, lo sguardo azzurro penetrante e poi quel ragionare, la parlata allusiva, arroccata nell’accento catanese, insomma dei "bravi nelle faccende d’amore", per dare profondità alle pennellate dello scrittore siciliano Vitaliano Brancati e così ritrarre Salvatore Di Grazia, campione imbattuto di vanità e, incidentalmente, a 74 anni ritrovato assassino. Incidentalmente sì, perché Di Grazia la moglie se la sarebbe anche risparmiata. Per 42 anni aveva condiviso con lei, affacciata sullo specchio blu di san Gregorio, la villa delle bugie e dei sotterfugi, dei tradimenti e del perdono, in quella ciclicità immutabile che solo apparenze e convenzioni sociali permettono di ripetersi. E dev’esser stato proprio il quieto vivere e la compensazione affettiva con gli adorati 25 gatti e 19 cani – "quei figli mai avuti" - che aveva spinto donna Mariella, 72 anni, a resistere, aggrappata a un amore che fu, idealizzato nelle foto sul comò, ingiallite dal gallismo travolgente del marito seduttore, pianificatore seriale dell’adulterio, reiterato nell’autocompiacimento. Perché Di Grazia non ama le donne, ama soprattutto la loro visione carnale, lui chino sul proprio ombelico per galvanizzarsi al centro del mondo. E immaginatevi solo come può essersi sentito, quando, a fine agosto 2011, Mariella Cimò ha abbassato la claire dell’autolavaggio self service di proprietà, zona franca del tradimento ad Aci Sant’Antonio, proprio lì dove Salvatore formicolava e di mattina e di sera, trasformando l’ufficio in alcova tra meretrici, amanti abituali e colpi di fulmine d’occasione. "Ogni donna ha un profumo diverso - asseriva -, una sensazione diversa, una ricchezza diversa".
Un via vai di donne e donnacce che alzava le chiacchiere dal parrucchiere, lungo il corso e nei caffè, tanto che Mariella, compromesso l’amore e anche l’apparenza, ne soffriva un giorno sì e l’altro pure. E come sopportare Di Grazia quando sentenziava, quando sussurrava tronfio: "L’uomo è antropologicamente spinto verso la poligamia, è un fatto di conservazione della specie".
Invano, Mariella spesso aveva minacciato la vendita dell’esercizio, essendo lei la proprietaria, ma il marito aveva subito inteso che erano solo avvertimenti, come mille altre volte, nati da un amore ferito. Invece, il 25 agosto la moglie aveva detto basta. "Adesso a settembre non riapri, vendo davvero e ti arrangi". Lui si era sentito messo al muro, il predatore sottratto della tana, della garçonière clandestina, di quello spazio tutto suo dove fatturava femmine, sesso e ancora fimmine, da indomito libertino, seppur avanti negli anni. "Di fronte a questa ferma volontà della moglie – scrivono i giudici di secondo grado-, per il Di Grazia non restava che una sola possibilità ovvero quella di ‘liberarsi’ definitivamente della Cimò in quanto per la forte personalità della donna, che era il soggetto dominante nella coppia (dal punto di vista psicologico ma anche economico), non sarebbe stato sufficiente, come aveva fatto con la prima moglie, avviare una procedura di separazione personale dei coniugi". Quindi, aveva reagito a modo suo, aggredendo prima con le parole poi con la violenza Mariella tanto da ucciderla, probabilmente strangolandola, al punto da non lasciare una traccia che fosse una. E come potevano trovarle i carabinieri, se per undici interminabili giorni Di Grazia ben si era guardato dal denunciare la scomparsa? E quando i compaesani, i parenti lo interrogavano, nicchiava con risposte evasive, mentiva, per spiegare poi che aveva denunciato la scomparsa così tardi perché sperava che la sua Mariella tornasse a casa dopo quel brutto litigio. E quando gli inquirenti lo ascoltavano, controllando i muscoli facciali per celare la profonda incredulità, lui leggeva nel loro necessario silenzio un assenso. E allora rintuzzava l’alibi, normalizzava, cercava comprensione e conforto con rare inarrivabili perle di saggezza: "Se tutti gli adulteri commettessero omicidio – ripeteva - non ci sarebbero né mogli, né mariti". Scusi, ma perché non l’ha cercata subito? "Io non ho interesse a farla cercare perché non è una ragazzina". Amen.
Ma la pista della fuga volontaria andò presto a sbattere contro indizi imbarazzanti. Le telecamere di sorveglianza che inquadrano l’unico accesso alla villa, dimostrarono che Mariella da quella casa mai era uscita. Di Grazia provò a disseminare dubbi, indicando percorsi alternativi, tanto suggestivi quanto improbabili: "Dall’accesso sui luoghi – scrivevano i giudici d’Appello - è emerso che nessun’altra via di fuga era percorribile: l’abitazione è posta alla sommità di un dirupo ed è circondata da un terreno incolto e non percorribile per una persona di età avanzata e con problemi fisici". Al contrario, le telecamere registrarono l’auto di Salvatore rientrare con un mastello di grandi dimensioni sopra il tetto della macchina. A che serviva quell’enorme catino? L’uomo sostenne che fosse un regalo per la moglie, che voleva la tinozza per lavare gli amati cani. Ma per i giudici della Cassazione il fine era ben altro: "La linea difensiva – si legge nelle motivazioni-, che si appunta sull’assenza di tracce rilevanti, indicative dell’avvenuto omicidio e della soppressione del cadavere nell’abitazione familiare e nella vettura dell’imputato, nonostante le accurate indagini condotte, si arresta al dato oggettivo, ma non considera la spiegazione razionale fornita dalla Corte di assise di appello nell’ipotizzare che l’omicidio sia avvenuto senza spargimento di sangue; che la collocazione del corpo della Cimò nel mastello abbia impedito la diffusione delle tracce; che la libera ammissione dei cani all’interno dell’appartamento abbia prodotto un effetto contaminatorio; che Di Grazia, negli ultimi giorni decorsi dalla sparizione della moglie all’avvio delle investigazioni, abbia effettuato interventi di pulizia sull’autovettura ed in casa".
E l’uomo era quindi tutto rivolto a proteggere la propria impunità, cancellando le prove, provando a depistare le indagini, rifilando una serie di menzogne agli inquirenti. "Riferisce ai carabinieri diverse circostanze false, per esempio il suo viavai la mattina della scomparsa, che verranno smentite dalle riprese filmate della videocamera (…) o ne tace altre (l’acquisto del mastello ad esempio); non si attiva in alcun modo per la ricerca della moglie; consegna ai carabinieri un telefono della Cimò non funzionante, mentre la scheda è in suo possesso; assume atteggiamenti prudenti per evitare di essere intercettato (sì fa prestare l’auto dal nipote); acquista una notevole disponibilità di denaro contante". E, come non bastasse, pianifica anche le dichiarazioni da fare ai carabinieri con tanto di foglietto ritrovato durante la perquisizione nel quale aveva appuntato la dicitura "25 grosso litigio il 26 è andata via".
Di Grazia sapeva anche che la moglie mai sarebbe tornata. E infatti elimina le cucce dei cani e permette il loro ingresso in villa quando, invece, la moglie aveva sempre vietato nel modo più intransigente che cani e gatti potessero vivere anche nella loro abitazione. Ma il marito assassino aveva un’esigenza inderogabile, ovvero inquinare gli ambienti, confondere ed eliminare le tracce di quanto accaduto. Non solo, "presta l’auto della moglie senza, evidentemente, temere in alcun modo il rientro della Cimò; comunica al nipote (…) con un anticipo di tre giorni che la zia non l’avrebbe accompagnato alla visita medica del 31 agosto; intrattiene rapporti mercenari con varie donne presso l’autolavaggio anche dopo il 25 agosto e senza temere che la moglie possa ritornare e sorprenderlo". Infatti, al tempo stesso, prosegue come sempre aveva fatto, tanto che nel giorno dell’omicidio contatta un’amante, l’indomani un’altra e in quelli successivi alla scomparsa subito si precipita nientemeno che dal commercialista per assicurarsi che l’autolavaggio non avrebbe chiuso e disporre poi l’intestazione dell’attività commerciale a se stesso, come se nulla fosse accaduto. Insomma, riaccendere in fretta la luminosa insegna del libertino, irrinunciabile conquistatore, dominatore, sciupafemmine.
L’uomo è stato condannato in primo e secondo grado a 25 anni di carcere per omicidio e soppressione di cadavere. Ma nemmeno queste condanne avevano scalfito la sua sicumera. "Lei ritiene che non sia nelle condizioni di trovare una donna che si voglia sistemare con me? – chiedeva a Simone Toscano di Quartogrado in un’intervista del novembre del 2018 - Che la ritenga all’altezza di stare con me? Non mi ritengo presuntuoso, ma non posso neanche sottovalutarmi, sia dal punto di vista culturale, sia fisico sono nelle condizioni di poter sostenere una donna, posso far sorridere una donna". Sorridere forse sì, anzi certamente. Un sorriso amaro, amarissimo, disperato, a iniziare da quelli che amavano Mariella, si erano prodigati nelle ricerche, avevano preso di petto Di Grazia per arrivare alla verità. Ma lui ha negato sempre, fino all’ultimo, fino a quando, 84 anni compiuti, la Cassazione ha confermato la condanna a un quarto di secolo di carcere. Il corpo di Mariella non è stato ritrovato.