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 2021  maggio 30 Domenica calendario

Intervista all’etnobotanico Gary Nabhan

Fratello Coyote ha un avvertimento da condividere con tutti gli esseri umani: «Il 60 per cento dei semi tradizionali, da cui crescevano le piante dell’America settentrionale e centrale, li abbiamo già persi. I cambiamenti climatici, la globalizzazione e l’industrializzazione procedono, peggiorando la crisi, al punto che i contadini degli Usa perdono ricavi per 50 miliardi di dollari. Se tutto ciò non bastasse, la pandemia di Covid ha generato anche una grave carenza di sementi». In altre parole, se non ci diamo una mossa per proteggere sul serio la fertilità delle piante, ci ritroveremo senza cibo, oppure saremo costretti ad ingurgitare alimenti «prodotti da cinque multinazionali e somministrati con le siringhe». All’anagrafe lui si chiama Gary Nabhan, ed è uno dei più noti etnobotanici del mondo. Fratello Coyote invece è il nome che ha scelto quando è diventato francescano, ispirandosi al Fratello Lupo del santo di Assisi, «perché nella cultura comica i coyote vengono rappresentati come animali goffi, che sbagliano sempre tutto. Io sono così, commetto un sacco di errori. Ma l’importante poi è imparare da propri sbagli».
Quali errori sta commettendo il genere umano con le piante?
«Mi occupo della conservazione dei semi da oltre quarant’anni, e abbiamo dato per scontato che li avremmo avuti per sempre. Ora sappiamo che non è così. Con l’80 per cento del territorio messicano colpito dalla siccità, e percentuali simili in California, proteggere i semi delle piante più adattabili serve non solo a produrre cibo, ma a salvarle dall’estinzione».
Cosa stiamo perdendo?
«Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi abbiamo già perso il 60 per cento delle varietà vegetali tradizionali dell’America. Per sempre. L’anno scorso, in Arizona e California, abbiamo avuto oltre 150 giorni con temperature intorno ai 33 gradi, e molti raccolti non crescono sopra i 34 gradi. Sono caduti 4 pollici di acqua, invece dei 18 abituali di media. I contadini hanno subito perdite per circa 15 miliardi di dollari nei ricavi, che saliranno a 50 miliardi quest’anno: la crisi più grave nella storia della nostra agricoltura. In più il Covid ha generato un’enorme scarsità di semi, perché la domanda è aumentata di circa cinque volte, esaurendo le riserve che i produttori avevano messo da parte per fronteggiare le emergenze nell’arco dei prossimi sette anni. Per recuperarli avrebbero bisogno di quattro anni consecutivi di raccolti ottimali, ma sappiamo che è statisticamente impossibile».
Quali sono le cause?
«I cambiamenti climatici, che fanno avanzare le zone desertiche, alzano le temperature e riducono l’acqua; i cambiamenti dell’ambiente prodotti dall’uomo, dalle miniere ai centri urbani; il fattore culturale, ossia la perdita delle conoscenze tradizionali sulla coltivazione e l’uso alimentare di questi vegetali».
Lei ha denunciato l’estinzione degli impollinatori. Quanto conta nel calo della fertilità?
«Molto. È ovvio che, se vuoi preservare la diversità vegetale, devi anche conservare la diversità degli impollinatori. Stiamo perdendo api, calabroni, pipistrelli, colibrì, farfalle, a causa dell’eccesso e la cattiva gestione di pesticidi ed erbicidi. Molti cercano di rivitalizzare le api, ma non basta: dobbiamo recuperare gli impollinatori selvatici, che fertilizzavano l’80 per cento dei raccolti».
Cosa dovremmo fare per rimediare?
«Le questioni di lungo termine sono i cambiamenti climatici, ambientali e culturali. Speriamo che i politici inizino a lavorarci sul serio, ma se daranno risultati li vedremo tra anni. Nell’immediato invece bisogna potenziare le banche dei semi, e migliorare i programmi per distribuirli ai contadini su base locale, perché sono loro che sanno come usarli e moltiplicarli attraverso i raccolti. Non le multinazionali specializzate in pochi prodotti, ma le comunità regionali. Qualcosa sta avvenendo, grazie a movimenti come Slow Food di Carlo Petrini, ma i governi devono investire di più».
La crisi provocata dal Covid si può superare?
«Serviranno anni. Poi c’è una lezione da imparare dalla pandemia: come si parla di togliere i brevetti per i vaccini che salvano la vita, lo stesso andrebbe fatto per i semi che servono a sfamarci».