Il Messaggero, 30 maggio 2021
Il Vaticano in Italia ha 115.000 immobili
Per dare un’idea di quanto sia esteso il suo patrimonio immobiliare, si stima che la Chiesa nelle sue molte articolazioni possegga circa un milione di immobili nei cinque Continenti. Su questa cifra convergono tutte le maggiori società del settore che, nel nostro Paese, attribuiscono agli eredi di Pietro la titolarità di 115 mila immobili. Nel mazzo figurerebbero 9 mila scuole, 26 mila tra chiese, oratori, conventi, campi sportivi e negozi e 5 mila tra cliniche, ospedali e strutture sanitarie di vario genere.
OSTELLI E RESIDENCEPiù complicato stabilire quanti siano gli hotel, i residence e le strutture ricettive in genere, perché per la maggior parte sono di proprietà di ordini di frati e suore, e non delle diocesi. Il sito Ospitalità religiosa ha censito 4.387 strutture per oltre 120 mila posti letto. Solo a Roma, dove ovviamente c’è il cuore pulsante delle attività, sono 2 mila gli enti religiosi e risultano proprietari di circa 20 mila terreni e fabbricati, suddivisi tra città e provincia. Difficile anche stabilire con precisione quanti non abbiano fini di lucro: sicuramente le chiese o gli stabili che sono adibiti ad attività caritative. Per il resto il confine è sempre stato labile.
A conti fatti, in Italia (dove Lombardia e Veneto contribuiscono più che altre Regioni), si parla comunque di un patrimonio stimabile intorno a 4 miliardi di euro. Ma in molti ipotizzano che il valore sia molto più robusto. La difficoltà dei calcoli è anche legata al fatto che il patrimonio, oltre ad essere parcellizzato, è in continua evoluzione con acquisti e vendite che, anche se non ai ritmi del mercato immobiliare complessivo, comunque si verificano.
Secondo i calcoli dell’Agenzia delle entrate, a Roma il valore complessivo delle abitazioni è di 460 miliardi e la parte di diretta proprietà della Chiesa ammonterebbe dunque allo 0,86% del totale. In Italia, il totale del patrimonio abitativo supera i 6 mila miliardi: la Santa Sede ne possiede lo 0,06 per cento. Per gestire questo patrimonio, al quale ha dato un impulso fondamentale il Giubileo del 2000, la Chiesa si affida a tre enti. Il più importante è l’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica), che gestisce appartamenti e terreni. Poi c’è Propaganda Fide, che opera nella Capitale amministrando residenze in sessanta palazzi in alcuni dei luoghi più prestigiosi di Roma. Infine c’è il Governatorato della Città del Vaticano.
Dal punto di vista fiscale, la questione è chiarissima: ogni singola parrocchia o realtà ecclesiastica, se ha una attività commerciale, è tenuta a pagare l’Imu al Comune di riferimento. «Se un convento religioso lavora come un albergo, paghi l’Imu» tuonò a questo proposito Papa Francesco nel 2015 suscitando enorme clamore. Occorre ricordare, a questo proposito, che nel 2013 il governo Monti stabilì che non era sufficiente che l’attività non commerciale praticata all’interno di una proprietà ecclesiastica fosse prevalente per non pagare l’Imu. Dunque da 8 anni solo i locali nei quali si svolge in modo esclusivo attività di culto o di assistenza sono esentati. Nel 2018 (ultimo dato disponibile) la Chiesa ha versato allo stato italiano 9,2 milioni di Imu. A questa cifra occorre aggiungere quanto versato per gli immobili di Propaganda Fide, della Cei, del Vicariato. Nel primo semestre 2019 è stato versato un acconto di 4 milioni e 434mila euro.