La Stampa, 30 maggio 2021
Intervista a Cassese. «I poteri di Draghi nella gestione del Pnrr sono giusti»
Roma«I poteri del premier previsti dal decreto semplificazioni non sono né speciali, né esorbitanti». È il sigillo di costituzionalità posto dal professor Sabino Cassese, che per chiarire la filosofia sottintesa alle norme della governance del Pnrr, pone un quesito: «Per un’attività così importante come un piano straordinario di ripresa, per la durata di sei anni, potrebbe il presidente del Consiglio dei ministri, non assumere la responsabilità di mantenere l’unità di indirizzo politico amministrativo e non dirigere la politica generale del governo, come prevede l’articolo 95 della Costituzione?».Rispetto all’impostazione di Conte, come le sembra quella impressa da Draghi?«Le due impostazioni sono ai poli opposti. Il secondo governo Conte, nel testo preparato ma non presentato, di emendamento alla legge di Bilancio, aveva previsto un indirizzo e governo del piano affidato tutto all’esterno, con l’amministrazione statale nella funzione di “attuatore”. Il progetto Draghi, contenuto nei primi 14 articoli del decreto legge approvato il 28 aprile, prevede l’opposto, cioè affida allo Stato il compito principale, organizzando una struttura che i francesi chiamerebbero di “missione”, tripartita, temporanea».E come si articolerà?«In primo luogo, un apparato presso la presidenza del Consiglio dei ministri, composto di una cabina di regia, di un organo di consultazione con le parti sociali, di una segreteria tecnica e di una unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione. In secondo luogo, presso il ministero dell’Economia, un servizio centrale per il piano e un ufficio presso la Ragioneria generale dello Stato. La terza parte sta presso le amministrazioni centrali di intervento e consiste in strutture di coordinamento con il servizio centrale».E i compiti sono ben distribuiti?«Si tratta di una vera e propria rete, molto ben disegnata, in cui la cabina di regia ha compiti di indirizzo e impulso ed è presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri e composta di ministri, sottosegretari della presidenza, presidenti regionali e soggetti operatori e loro associazioni; l’organo consultivo composto dalle parti sociali; le due strutture presso il ministero dell’Economia si interessano la prima dei rapporti con la Commissione europea e la seconda del monitoraggio e dell’Anticorruzione. All’esterno vi sono due società con partecipazioni statale, come la Sogei e Studiare sviluppo. E la Consip è chiamata a rafforzare la capacità amministrativa delle stazioni appaltanti. Tutto questo con un costo relativamente modesto – 14 milioni nel 2021, 35 per ogni anno fino al 2026, 5 a partire dal 2027 – rispetto alle somme complessivamente gestite di circa 200 miliardi».Palazzo Chigi ha poteri di indirizzo e, nella cabina di regia, li condivide con i titolari dei dicasteri interessati e non con l’intero plenum governativo. Ciò non riduce il potere di indirizzo dei partiti di maggioranza che esprimono i ministri, a vantaggio del capo del governo?«Il decreto prevede che gli organi collocati a Palazzo Chigi informino periodicamente Parlamento, Conferenza Stato – regioni e Consiglio dei ministri».Alla cabina di regia partecipano di diritto i presidenti delle regioni coinvolte, o il presidente della conferenza unificata. Giusto che i governatori abbiano poteri decisionali e non intervengano come meri «uditori» al pari di altri soggetti?«Sarebbe stato un grave errore tenerli fuori del processo decisionale, perché su molte materie hanno competenza legislativa residuale, cioè esclusiva, ed è quindi bene che partecipino alle decisioni».La Cabina di Regia assicura relazioni periodiche al Parlamento e alla Conferenza delle regioni. Salta all’occhio che il Parlamento non sia chiamato a esprimersi con un voto, sullo stato degli interventi e sulle decisioni prese, con risoluzioni o mozioni, di qui al 2026. Sarà rimesso alla sensibilità del governo o andava inserita una norma ad hoc?«Il Parlamento deve svolgere la necessaria funzione legislativa, ma non può svolgere l’attività di gestione di un piano. Il rapporto configurato dal decreto legge non è diverso da quello configurato dalla legislazione del 1950 che riguardava i poteri parlamentari relativi agli investimenti della Cassa per il Mezzogiorno».In caso di ritardi di regioni, comuni o enti, il premier può dare loro 30 giorni per risolvere. E in casi estremi avocare poteri sostitutivi. Insomma, questo complesso di leve in mano al presidente è l’unica arma per portare a termine nell’Italia di oggi questa sorta di nuovo piano Marshall?«Poteri sollecitatori e sostitutivi sono già previsti dalla legge 241 del 1990, sul procedimento amministrativo. Il decreto legge specifica questi poteri, prevedendo due tipi di interventi, in caso di inerzia e in caso di dissenso, diniego o opposizione. E lo fa ispirandosi proprio alla fondamentale legge del 1990, ma stabilendo termini molto stretti, come necessario in base al diritto europeo. Si tratta di terminare tutta l’attività esecutiva nel 2026».Sarebbe stato meglio secondo lei istituire un organismo indipendente per pianificare gli interventi del Recovery, come quello proposto da Giorgio la Malfa?«La Malfa aveva caldeggiato la soluzione di un organo straordinario simile alla tesi “Tennessee Valley Authority”, che aveva ispirato l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Era una delle opzioni possibili. Il governo Draghi ha preferito la formula francese, così differenziandosi notevolmente dal modello affacciato dall’esecutivo Conte, che, portando il governo del piano fuori dall’amministrazione dello Stato, dava una sorta di voto di sfiducia alla pubblica amministrazione. Per sottolineare che si tratta di un’"amministrazione di missione”, il decreto in più punti stabilisce che la durata degli organi arriva alla fine del piano, nel 2026, essendo così superiore a quella dei governi, ma non permanente». —