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 2021  maggio 30 Domenica calendario

La politica estera di Draghi

A oltre cento giorni dall’insediamento a Palazzo Chigi la politica estera di Mario Draghi inizia ad assumere caratteristiche ben definite che ruotano attorno a intese privilegiate che rafforzano e completano la tradizionale fedeltà a Ue e Nato: sui temi multilaterali con l’America di Joe Biden e sullo scacchiere del Mediterraneo con la Francia di Emmanuel Macron.
Basta guardare a quanto avvenuto nelle ultime settimane per comprendere velocità ed entità di tali sviluppi. Nell’intervento di venerdì al Global Solutions Summit il premier italiano ha parlato di un «ritorno al multilateralismo» per impatto della reazione al Covid 19 che ha indebolito il sovranismo «perché ci ha insegnato che è impossibile affrontare problemi globali con soluzioni nazionali».
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segue dalla prima pagina È un linguaggio coincidente con l’orientamento dell’amministrazione Biden che ha portato il Global Health Summit, svoltosi la settimana precedente, a condividere l’iniziativa dell’Unione Europea di aiutare i Paesi africani non solo a creare centri di produzione del vaccino anti-Covid 19 ma anche strutture sanitarie più efficienti per combattere altre gravi malattie. La Dichiarazione di Roma con cui il summit si è concluso vede l’Italia – presidente di turno del G20 – sponsor di un patto sanitario globale per consentire ai Paesi a redditi più bassi di avere strumenti di prevenzione più efficienti. Anche qui in forte sintonia con Washington.
A questo fronte bisogna aggiungere l’ambiente dove l’Italia – co-presidente della Conferenza Onu sul clima Cop26 che si terrà a Glasgow in autunno – dopo aver condiviso la scelta Ue di puntare a zero emissioni nel 2050, vuole ora sfruttare il programma Next Generation Eu per accelerare la transizione ecologica ed ha trovato nella Germania di Angela Merkel un partner importante nel gruppo di lavoro G20 sulla “finanza sostenibile” che mira a suggerire azioni a livello globale nei confronti dei Paesi che continuano ad inquinare di più. A cominciare dalla Cina di Xi Jinping che è responsabile del 30 per cento delle emissioni nocive globali a fronte del 17 per cento del Pil del Pianeta. Quando Draghi afferma che «la questione non è se cercare un compromesso con Pechino ma come farlo», lascia intendere che è venuto il momento di un dialogo «franco e aperto» con la Cina sulle regole globali da definire su temi cruciali come ambiente, lavoro, finanza e digitale. Anche qui, i passi di Roma coincidono con quelli di Washington non solo sulla volontà di mettere alle strette Pechino sul clima – l’inviato Usa, John Kerry, ha incontrato Draghi pochi giorni fa – ma anche sulla necessità di ottenere da Xi una maggiore collaborazione globale complessiva, come fatto da Biden con la richiesta di fare «piena luce» sull’origine del virus pandemico venuto da Wuhan.
La terza gamba del multilateralismo di Draghi è sull’economia perché il sostegno alle iniziative per ridurre il debito dei Paesi più poveri punta ad individuare nel Fmi e nelle banche di sviluppo multilaterale vettori capaci di intervenire lì dove l’emergenza è maggiore. Ovvero, se da un lato Draghi ha chiuso il summit di Roma sottolineando l’esigenza di «vaccinare il mondo», dall’altro vuole costruire un’iniziativa multilaterale capace di scongiurare una nuova crisi del debito in Africa. Ed anche qui c’è un riflesso cinese perché molti Paesi africani sono in difficoltà a causa degli accordi-capestro sottoscritti negli ultimi anni con Pechino.
Se pandemia, ambiente e debito dei Paesi poveri distinguono le iniziative italiane sul binario multilaterale – in forte raccordo con Washington – c’è poi lo scacchiere regionale del Mediterraneo dove l’Italia si trova incalzata su più fronti. Anzitutto il Sahel, infestato da agguerriti gruppi jihadisti, e la Libia, la cui instabilità favorisce il traffico di migranti, ma più in generale l’aggressività della Turchia di Recep Tayyip Erdogan che punta all’egemonia sul gas naturale nel Mediterraneo centro-orientale, sostiene ovunque i Fratelli musulmani, controlla militarmente la Tripolitania e – negli ultimi giorni – si è candidata alla Nato per guidare le missioni in Iraq e Kosovo al fine di strapparle proprio al nostro Paese. Le frizioni con Ankara tendono a crescere e la recente visita di Draghi a Parigi ha visto una convergenza su questo terreno con Macron – il leader europeo più determinato ad arginare il disegno neo-ottomano di Erdogan – che si somma alle intese sugli aiuti all’Africa, sulla missione militare in Mali/Niger contro i gruppi jihadisti e per una transizione politica in Libia tesa a rafforzare il premier Abdul Hamid Dbeibeh – in arrivo a Roma – chiedendo il ritiro dal Paese di «tutte le forze straniere» a cominciare da truppe turche e mercenari russi.
È presto per dire se l’intesa Draghi-Macron sul Mediterraneo riuscirà a decollare – lasciandosi alle spalle una ben nota rivalità regionale – ma non c’è dubbio che se ciò avvenisse consentirebbe a Washington di avere maggiori garanzie di stabilità in uno scacchiere regionale dove Mosca e Pechino tentano con insistenza di penetrare – come il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha spiegato a fine aprile alla commissione Esteri della Camera – mettendo a grave rischio i nostri interessi nazionali. A complicare ulteriormente l’agenda di politica estera di Draghi ci sono le gravi tensioni bilaterali sull’import-export con Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita – Paesi strategici del mondo arabo sunnita – e il caso-Regeni con l’Egitto di Abdel Fattah Al Sisi, ridivenuto centrale per gli Stati Uniti per il ruolo avuto nel siglare la tregua nell’ultimo conflitto armato fra Hamas e Israele. Insomma, su un panorama internazionale disseminato di crisi Draghi si muove d’intesa – su fronti diversi – con Biden e Macron, col risultato di dare nuovo slancio alle partnership atlantica ed europea.
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