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 2021  maggio 29 Sabato calendario

Orsi & Tori

Solo la scuola può fare la vera Unione Europea. Neppure il Covid ha fatto fare un passo decisivo verso un’Europa davvero unita. Certo, è stato lanciato il Recovery fund e stanno per essere emessi i primi eurobond. Ma gli unici vessilliferi dell’unità europea sono ancora e soltanto l’euro e la Bce. Neppure un tema decisivo come l’uso libero dei brevetti per vaccini è diventato un’idea europea comune. Il leader della Comunità, la Germania, ha chiuso a ogni ipotesi in questa direzione, avendo nel Paese una poderosa industria farmaceutica. E dire che l’Italia, per una volta, ha un Codice dei brevetti, artt. 141 e 143, che esprime solidarietà e interesse comune. Infatti, con un semplice decreto il governo potrebbe indicare che sul territorio nazionale certi brevetti, essendo di interesse pubblico e sociale, potrebbero essere messi a disposizione di chi è in grado di sfruttarli per la produzione, come ha spiegato su MF-Milano Finanza il professor Gustavo Ghidini, autorità nel settore. La norma, naturalmente, prevede che l’uso di quei brevetti sia remunerato. Probabilmente anche per questa norma altamente sociale il presidente del Consiglio, Mario Draghi, aveva subito condiviso l’idea del presidente degli Usa, Joe Biden, di liberalizzare i brevetti destinati a sconfiggere la pandemia.
Non parliamo poi della confusione sulle regole esoteriche dei vari Paesi europei sul Green pass per chi ha completato la vaccinazione, per chi ha avuto il Covid ed è guarito e per chi ha fatto un tampone a poche ore di distanza dalla verifica.
Che cosa, dunque, occorre fare per realizzare un passo avanti, decisivo, per l’unione vera dell’Europa che tutti, o molti, auspicano?
Un primo ostacolo da superare dovrebbe essere l’accettazione di una forma federale dell’Europa, sul modello degli Stati Uniti o della Svizzera, ma l’ostacolo è realisticamente troppo alto per cultura e forma politica dei vari Stati per essere anche solo posto in discussione. Con la forma federale si supererebbe la diseguaglianza fra i vari Stati, così come viene superata per le significative differenze fra gli Stati americani o i cantoni svizzeri. Ma un continente che in un secolo, il ventesimo, ha visto due guerre mondiali tragiche, manca proprio lo spirito adeguato, nonostante si sia nel ventunesimo secolo, per sentirsi solidali fra i vari cittadini. L’identità nazionale è troppo forte. Le ideologie pure. La solidarietà troppo bassa. Le ferite della guerra, il nazismo, non sono state ancora digerite. La diffidenza verso la Germania, che è leader dal punto di vista economico e da quello demografico, è ancora alta e viceversa. Quindi mancano dei veri cittadini europei. Come si può fare per averli almeno nel prossimo futuro?
La possibilità di averli è inevitabilmente legata al puntare sulle nuove generazioni. Fin dalla frequentazione delle prime classi scolastiche. Ecco, la scuola può essere la chiave di volta da usare.
Lasciando da parte gli Stati Uniti, che hanno diseguaglianze profonde sociali anche nella scuola, dove emerge, in prevalenza, chi può frequentare le scuole migliori, che sono private, con rette carissime, un esempio straordinario è quello della scuola svizzera fin dalle scuole elementari.
In Svizzera, che certamente ha il vantaggio di essere un paese piccolo, ci sono identità forti e diverse fra i vari cantoni. In primo luogo, la lingua: c’è il tedesco, il francese, l’italiano, parlati dai tre Paesi più grandi dell’Europa. Ma la scuola fa superare immediatamente questo fondamentale gap. Infatti, in ogni cantone si insegnano almeno tre lingue, più il dialetto locale, che vede primeggiare il romancio in larga parte della Confederazione elvetica. Ma appunto l’unità fra i cittadini dei diversi cantoni sul piano linguistico lo realizza direttamente la scuola. Che segue programmi e regole comuni, con cultura di base e obiettivi comuni. Bastano pochi esempi per capire come la scuola svizzera possa creare cittadini svizzeri con gli stessi principi e la stessa educazione. Ci sono regole comuni di alta rilevanza per la formazione di giovani sia che vivano nella Svizzera italiana, in quella francese o in quella tedesca. Per esempio, il principio fondamentale che prima di essere valutati dall’insegnante i bambini e i ragazzi svizzeri devono effettuare una propria autovalutazione, il che inevitabilmente equivale a formare l’abitudine all’autocritica. Simmetricamente, i colloqui con gli insegnanti da parte dei genitori avvengono alla presenza dello studente. Per creare solidarietà, gli studenti di due classi maggiori vengono impegnati a fare una sorta di tutoraggio ai ragazzi delle scuole inferiori. Per creare autodisciplina, nella libertà, gli studenti possono entrare in classe con le scarpe, oppure con le pantofole o con semplicemente i calzini.
I banchi, che tante polemiche, legittime, hanno suscitato in Italia, non solo hanno le ruote ma sono regolabili in alto o in basso a seconda di come lo studente si trova più a suo agio. Sempre per creare alternanza e accettazione, il menu della mensa viene fissato ogni giorno da uno studente diverso. Nell’eguaglianza alternata, gli studenti si sentono più liberi e allo stesso tempo con più tolleranza verso gli altri.
Sul piano delle materie di insegnamento non può non esserci l’etica. E per quanto riguarda la religione, vengono insegnate varie religioni, sì che lo studente possa scegliere. Gli insegnanti comunicano direttamente con le famiglie, ma senza che ne nasca una chat fra i genitori. La maestra o il professore comunica direttamente, in maniera regolare, con i genitori.
Ai fini della salute, per prevenire malattie o deviazioni, la scuola effettua regolarmente test salivari, ma chi non vuole può evitarlo...
Le caratteristiche della scuola comune svizzera, per tutti i cantoni che sono sorta di Stati, sono le stesse. Ma ognuno conserva la sua identità nello studio del dialetto di ciascun cantone. Quindi gli svizzeri sono svizzeri come gli europei dovrebbero essere europei.
Signor ministro italiano dell’Istruzione, Signor Professor Patrizio Bianchi, economista e politico, perché non si fa promotore di una possibile, progressiva integrazione dei programmi della scuola italiana con quella degli altri Paesi della Ue, specialmente della scuola elementare e della media, che dia l’imprinting ai futuri cittadini? Senza cittadini europei non ci può essere Europa unita e per la sua storia, il suo retaggio dai latini in poi, l’Italia ha quasi il dovere di essere la prima a lanciare il progetto. Durerà anni, ci saranno reazioni, ma prima si comincia e prima ci potrà essere una educazione europea, naturalmente con tutte le specificità che in Svizzera sono rappresentate dal dialetto. Ma giova ripeterlo, senza cittadini con una comune radice educativa e culturale, l’Europa unita rimarrà sempre una chimera.

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Quanto serve alla democrazia l’informazione indipendente e professionale?
C’è una grande occasione per capirlo, nel momento in cui l’Italia sta cercando di semplificare le procedure burocratiche, per esempio per le gare e gli appalti perché non passino anni e anni per l’assegnazione e poi per la realizzazione delle opere, come avviene regolarmente da decenni.
Nei giorni scorsi il governo ha accusato vari sobbalzi interni fra coloro che auspichino una semplificazione reale e chi (il Pd) non vuole che sia smontato il Codice degli appalti.
Questo giornale e tutti i media di Class Editori auspicano che la semplificazione avvenga, ma che contemporaneamente non accadano abusi, corruzioni, atti di malaffare dalla delinquenza organizzata, come mafia, ’ndrangheta e camorra; infiltrazioni che sono comunque all’ordine del giorno delle opere pubbliche realizzate finora.
Come si può conciliare semplificazione e velocità di realizzazione da una parte ed eliminazione degli abusi e della corruzione che con le infiltrazioni garantisce ulteriore arricchimento per la delinquenza organizzata?
C’è una via sola: recuperare uno dei valori fondamentali della democrazia: il ruolo di vigilanza dei cittadini, delle comunità, di chi ha interesse sano a quelle opere. La vigilanza (con il rischio di usare un termine arcaico del ’68) su ciò che interessa ai cittadini può essere esercitata capillarmente solo dai cittadini. Cittadini di una città come Roma, che per anni hanno visto le loro strade riempirsi di buche con gravi rischi di incidenti stradali, ma anche, a maggior ragione, cittadini di piccoli comuni, di comunità dove più o meno tutti si conoscono. La vigilanza la possono fare solo loro e con loro i media liberi che fanno informazione seria e obiettiva nel loro ruolo di cane da guardia della vita pubblica e privata nell’interesse dei cittadini.
Ma perché i media professionali possano esercitare bene questo ruolo, occorre che siano fonte di informazione precisa di aste e appalti.
Durante la compilazione del Codice degli appalti ora contestato, opera principalmente dell’allora ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, c’erano molte voci interessate secondo cui era l’occasione buona per abolire la pubblicazione degli annunci di gare e di appalti sui giornali. Pur avendo concorso a elaborare un Codice complesso, che sembrava a prova di corruzione, il ministro Delrio ebbe il senso democratico di confermare l’obbligo di pubblicazione.
Sarebbe paradossale, come pure alcuni vorrebbero, che nel momento in cui si semplifica venisse depotenziato chi fa da cane da guardia della vita pubblica e privata nell’interesse dei cittadini. Questo è invece il momento, mentre si semplifica, per potenziare l’azione che può e deve svolgere il sistema dell’informazione seria e professionale.
Nell’epoca in cui sulla rete prevalgono le fake news (il sorpasso ai danni delle notizie e informazioni serie è avvenuto già quasi un anno fa, il 20 giugno), è solo l’informazione seria e professionale che può aiutare la democrazia e scongiurare abusi, furti, ritardi nelle realizzazioni, corruzione.
Il presidente della Fieg (Federazione italiana editori di giornali), Andrea Riffeser, ha lanciato l’allarme, ricordando la forza del sistema dell’informazione professionale: 12 milioni di lettori di quotidiani, 20,1 milioni di cittadini che leggono periodici e 38,1 milioni di utenti unici giornalieri dei siti di informazione.
Sia a livello nazionale che locale, la pubblicazione sui media professionali di gare e appalti consente ai cittadini di conoscere e di poter controllare, nell’accezione più corretta della democrazia.
Sarebbe paradossale che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si facesse sfuggire l’occasione per dimostrare che la semplificazione e la ricerca dell’efficienza possano realizzarsi senza un ruolo pieno della democrazia, cioè degli elettori, dei cittadini, quando si tratta di spendere denaro pubblico. Carta canta, e canta assieme al digitale, ma il canto deve essere messo istituzionalmente a disposizione dei cittadini editori. I casi di allarme di inefficienza e corruzione sono sempre avvenuti con l’intervento attivo dei cittadini. Che per intervenire hanno bisogno di essere informati. Informati al momento del lancio delle gare e degli appalti, ma anche nel durante della realizzazione. E se il governo Draghi vuole rispettare i tempi di realizzazione, in primo luogo, deve poter contare sulla conoscenza e sulla sorveglianza dei cittadini-elettori.